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Home » Esteri

Trump adotterà una strategia più aggressiva verso l’Iran?

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Secondo un’esclusiva dell’agenzia Reuters, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sta considerando di adottare strategie più aggressive nei confronti dell’Iran, degli alleati sciiti di Teheran in Iraq e in Siria, e dei gruppi militanti che hanno il supporto della Repubblica islamica.

A proporre un nuovo approccio alla questione iraniana sono stati il segretario della difesa Jim Mattis, il consigliere per la sicurezza nazionale H.R. McMaster e altri funzionari di alto livello. Il programma è stato presentato al presidente Trump durante la riunione del Consiglio per la Sicurezza Nazionale di venerdì scorso.

Un alto funzionario dell’amministrazione ha riferito che Trump potrebbe limitarsi a delineare gli obiettivi strategici e lasciare agli ufficiali e ai diplomatici statunitensi il compito di attuare il piano, senza prendere in considerazione i dossier lasciati in eredità da Barack Obama e dai suoi predecessori.

Le fonti di Reuters parlano di un progetto per aumentare le pressioni sull’Iran al fine di rallentarne il programma missilistico e tagliare i legami con i militanti supportati. Il piano dovrebbe prendere di mira anche il cyberspionaggio e la proliferazione nucleare.

L’amministrazione Trump sta ancora discutendo sulla nuova linea da adottare riguardo l’accordo tra USA e Iran sul programma nucleare iraniano, firmato nel 2015 dall’allora presidente statunitense Barack Obama e dal suo omologo iraniano Hassan Rohani. L’Iran potrebbe incorrere in sanzioni economiche pesanti nel caso di violazioni del patto raggiunto due anni fa dalle parti.

Secondo alcuni funzionari statunitensi, Washington potrebbe impedire a Teheran di continuare a fornire armi ai gruppi militari amici, come i ribelli Houthi nello Yemen e i militanti palestinesi a Gaza e nella penisola del Sinai, in Egitto.

Non è escluso che il piano preveda un atteggiamento più aggressivo degli USA in Bahrein, dove la monarchia sunnita sta sopprimendo la rivolta della maggioranza sciita che chiede nuove riforme.

Tre fonti ascoltate dai reporter di Reuters hanno rivelato che le forze navali statunitensi potrebbero reagire con maggior determinatezza nel caso di attacchi da parte di motoscafi armati del Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, un organo paramilitare legato a Teheran e attivo dai tempi della rivoluzione iraniana del 1979.

Il piano di Trump non prevede nuove attività militari in Siria e in Iraq. I consiglieri sulla sicurezza nazionale del presidente hanno reso noto che un dispiego di forze contro i gruppi vicini a Teheran presenti in Siria e in Iraq potrebbe complicare le azioni militari contro lo Stato Islamico, la vera priorità per Washington.

Secondo quattro testimonianze raccolte dall’agenzia Reuters, Jim Mattis e H.R. McMaster si sarebbero già opposti all’ipotesi di reazioni violente alle provocazioni del Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, di Hezbollah e di altre milizie sciite appoggiate dall’Iran.

I consiglieri temono che regole di ingaggio più permissive potrebbero deviare l’attenzione delle truppe statunitensi dallo scopo principale, ovvero la sconfitta di ciò che resta dello Stato Islamico.

Regole meno stringenti potrebbero inoltre spingere gli Stati Uniti a un conflitto aperto con l’Iran, mettendo a dura prova la tenuta dell’esercito soprattutto dopo l’autorizzazione del presidente Trump all’invio di nuovi soldati in Afghanistan.

Un ex ufficiale statunitense ha affermato che Hezbollah e le milizie sciite in Iraq hanno avuto un ruolo “molto utile” nella riconquista di vari territori caduti nelle mani dei guerriglieri dello Stato Islamico.

I combattenti curdi e sunniti appoggiati dagli USA che stanno combattendo l’ISIS in Siria stanno avendo problemi nel fronteggiare le azioni ostili promosse dalle forze militari che hanno il supporto dell’Iran.

Uno dei casi che ha avuto maggior visibilità sui media legato alle tensioni tra Washington e Teheran riguarda l’abbattimento di due droni iraniani da parte di un aereo statunitense, avvenuto lo scorso giugno. L’azione è stata definita un atto di difesa necessario per fermare una minaccia imminente a terra.

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