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Home » Esteri

La storica visita di Shinzo Abe e Barack Obama a Pearl Harbor

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A 75 anni esatti dall’attacco che spinse gli Usa nella II guerra mondiale, il primo ministro Abe visiterà Pearl Harbor insieme a Obama. L'analisi di Mario Messina

Il 26 dicembre 2016, a 75 anni dall’attacco giapponese che spinse gli Stati Uniti nella Seconda Guerra mondiale, il primo ministro Shinzo Abe visiterà il porto hawaiano di Pearl Harbor accompagnato dal presidente uscente Barack Obama. 

Si chiuderà un cerchio, aperto con la visita di Obama dello scorso 27 maggio a Hiroshima. Pearl Harbor e Hiroshima. L’inizio e la fine. I luoghi simbolo di quella lunga guerra che portò Stati Uniti e Giappone a combattersi senza esclusione di colpi. Compresi quelli atomici.

Un gesto di cortesia, dunque. Un modo per ricambiare la storica visita di Obama nei luoghi colpiti dalla bomba atomica e per chiudere quel lungo viaggio della riconciliazione che ha visto protagonisti i due leader mondiali. 

E se non fosse solo questo?

Il 20 gennaio prossimo Barack Obama lascerà la Casa Bianca a Donald Trump. Il presidente eletto in campagna elettorale aveva utilizzato toni poco concilianti nei confronti dell’alleato nipponico. Nel corso di un dibattito repubblicano dello scorso marzo, per esempio, aveva attaccato Tokyo accusandola di sfruttare l’alleanza con gli Stati Uniti per garantirsi protezione militare evitando rischi e costi. E sul versante economico, di manipolare la propria valuta per ottenere un vantaggio economico sleale.

Come si comporterà Trump quando entrerà nello studio ovale? Quale sarà il destino dell’asse Washington-Tokyo? Cosa accadrà in Giappone qualora Trump spingesse verso l’autosufficienza difensiva dei suoi alleati? 

Gli interrogativi legati all’incognita-Trump sono tanti e Abe non vuole farsi cogliere impreparato.

Il primo ministro giapponese è stato il primo ad incontrare il presidente eletto lo scorso 18 novembre. Uscendo dalla Trump Tower di New York Abe si era affrettato a dichiarare alla stampa che la fiducia nell’alleanza tra i due paesi è fondamentale e che “Mr Trump è un leader di cui possiamo fidarci”.

Ma il futuro presidente è un uomo imprevedibile, così Abe ha deciso di inviargli un ulteriore, più forte segnale annunciando l’intenzione di visitare il sito del bombardamento del 1941 da parte dell’Impero giapponese per riconciliarsi definitivamente con gli Usa.

Un scelta che potrebbe costargli in termini di gradimento. Se è vero, infatti, che i giapponesi hanno voglia di chiudere con il passato, è vero anche che sta crescendo tra l’opinione pubblica – ma anche tra le frange più estreme del governo Abe – un movimento revisionista che vuole rivedere la storia del coinvolgimento giapponese nella Seconda Guerra Mondiale. 

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Un movimento informale che non riconosce tutte le colpe assegnate al Giappone dalla storiografia ufficiale e che vuole ritrovare l’orgoglio per il passato imperiale del paese. Lo stesso Abe aveva mostrato, in passato, simpatie verso una lettura più clemente della storia giapponese ma poi scelse la via del pragmatismo. 

La frangia revisionista, però, è del tutto minoritaria e difficilmente la visita a Pearl Harbor avrà effetti significativi sul livello di gradimento del leader giapponese. Abe, grazie ad una serie di politiche fiscali coraggiose – la celebre Abenomics – ha sostenuto l’economia giapponese in un periodo di pericoli interni ed internazionali. Ciò gli ha garantito un forte sostegno pubblico sulle politiche economiche.

Il sostegno ad Abe, però, è in bilico quando propone azioni diverse da quelle più strettamente economiche e crolla vertiginosamente quando propone di riformare la costituzione. Pomo della discordia il celebre Articolo 9 con cui il Giappone, di fatto, rinuncia al diritto alla guerra.

La costituzione giapponese, entrata in vigore dopo la Seconda Guerra Mondiale, vieta l’utilizzo dell’esercito in azioni di guerra all’estero. L’unico compito delle forze armate nipponiche è quello di garantire l’autodifesa da attacchi esterni. Soltanto nel 2015 il parlamento giapponese ha autorizzato l’impiego delle “forze di autodifesa” in missioni di pace all’estero. 

La crescita economica e la riforma dell’articolo 9 sono da sempre i principali obiettivi dell’agenda Abe. A partire dal 2012, inizio del suo secondo mandato, il primo ministro ha cercato con forza di raggiungere i suoi scopi e lo ha fatto trovando un forte alleato nel presidente americano Barack Obama

I due leader hanno trovato il primo punto di accordo nel Trans-Pacific Partnership (Tpp), il trattato di libero scambio tra Giappone, Usa e altre dieci economie del Pacifico. L’accordo si pone l’obiettivo di “promuovere gli scambi e gli investimenti tra i paesi partner, promuovere l’innovazione, la crescita economica e lo sviluppo”. Ma è chiaro a tutti che il l’obiettivo strategico è frenare la crescita economica del gigante cinese. 

Il parlamento giapponese, a inizio dicembre 2016, ha ratificato il trattato ma affinché entri in vigore è necessario il via libera degli Stati Uniti. E Trump ha già annunciato la sua contrarietà all’accordo affermando che avrebbe tirato fuori gli Stati Uniti dal Tpp nel primo giorno del suo mandato.

L’atteggiamento ostile di Trump nei confronti del Giappone sta spingendo Abe a rivedere completamente la sua strategia economica per il futuro. 

Eppure, paradossalmente, ciò potrebbe facilitare il suo secondo grande obiettivo: la riforma dell’articolo 9 della Costituzione. 

Durante la campagna elettorale Trump ha più volte sottolineato la sua frustrazione per un “trattato ineguale” (il “Treaty of Mutual Cooperation and Security” del 1960) che obbliga gli Stati Uniti ad intervenire per difendere il Giappone in caso di attacco. Il Giappone, al contrario, non potrebbe fare lo stesso a causa del divieto costituzionale. “Potrebbe essere necessario – ha dichiarato Trump – che gli Stati Uniti abbandonino il trattato”.

Le parole di Trump suonano più come una vuota minaccia che una reale possibilità. Un modo, cioè, per spingere il Giappone – e agli altri alleati – a prendersi maggiormente carico dei costi dell’ombrello militare statunitense.

Ma Abe potrebbe approfittarne e convincere i giapponesi che è davvero arrivato il momento di mettere mano all’articolo 9, di organizzare un esercito che possa essere utilizzato ovunque nel mondo e che la minaccia nord-coreana e soprattutto l’espansione economica cinese chiedono di essere affrontate in maniera completamente nuova. 

Il 26 dicembre 2016 Shinzo Abe, di fronte a milioni di giapponesi che lo seguiranno in diretta televisiva, pregherà per le anime delle vittime di Pearl Harbor, ricorderà gli orrori della guerra e la necessità che tali atrocità non vengano più ripetute.

Tornato in patria non dovrà fare altro che cavalcare l’onda, riproporre il tema della riforma costituzionale e aspettare la prossima uscita di Trump.

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