Il senzatetto che lavora al Senato
Per otto anni, Charles Gladden ha servito ai tavoli della caffetteria del Senato. Nessuno però era a conoscenza del fatto che l'uomo fosse un clochard
Al pianterreno del Dirksen Senate Office Building, il 63enne Charles Gladden lavorava accanto a esponenti considerati tra i più potenti degli Stati Uniti.
Per otto anni, Charles ha salutato senatori, membri dello staff e lobbisti incontrati nei corridori, alla caffetteria, ai banchetti esclusivi o durante le cerimonie ufficiali.
Nessuno tra quei pezzi grossi, o il suo datore di lavoro, sapeva che Charles è un senzatetto. Lavorava alla caffetteria del Senato, senza aver mai cambiato indirizzo per cinque anni.
Le ragioni che lo hanno portato a questa scelta sono complesse. Racconta di aver preso decisioni che rimpiange – non tra le ultime, l’aver lasciato la George Washington University, dove studiava belle arti grazie a una borsa di studio.
Dopo aver abbandonato l’università, ha passato alcuni anni vivendo di lavori sottopagati, ridipingendo case o consegnando cibo a domicilio.
Oggi destina gran parte del suoi guadagni alle sue tre figlie e ai suoi nipoti, anch’essi alla ricerca disperata di un impiego e di una fissa dimora.
Sostiene di aver bisogno di meno denaro rispetto ai suoi familiari e di sapere bene come affrontare “gli elementi”, facendo buon uso dei buoni pasto e dei servizi sanitari gratuiti. Dopotutto, è stato un clochard per più di vent’anni, ed è riuscito sempre a cavarsela.
Per una settimana di lavoro alla caffetteria del Senato- lucidando i pavimenti, pulendo i bagni, lavando i piatti e scartando i rifiuti – Charles guadagnava circa 330 euro.
Se è certo dell’enorme soddisfazione che ricavava nel servire chi è al servizio del Paese, lo è meno sul fatto che quelle stesse persone gli abbiano restituito il favore.
“I nostri legislatori – commenta Gladden – non si rendono conto di quello che accade sotto ai loro occhi. Non ne hanno proprio idea”.
Per questo motivo, ha deciso di farglielo capire partecipando a uno sciopero tenutosi lo scorso mercoledì 22 aprile. Insieme ad altre centinaia di lavoratori pubblici, Gladden ha protestato perché a suo parere il governo statunitense, il più grande creatore indiretto di impieghi sottopagati del Paese, non impone alle società con cui intrattiene rapporti commerciali di garantire ai suoi dipendenti quello che lui considera un salario minimo.
Charles è consapevole che il suo è un caso atipico. È convinto però che la sua storia mostri chiaramente quali siano le scelte vincolate e il continuo senso d’instabilità che affligge chi non gode della retribuzione minima.
Nel tempo, ha poi sviluppato dei disturbi cronici, come il calo della vista, i problemi alle gambe e ai piedi, nonché un diabete diagnosticatogli più di dieci anni fa. Per questo, ha cercato un nuovo lavoro come cameriere presso il Restaurant Associates, nel quartiere di Capitol Hill.
A volte, quando serviva ai tavoli durante eventi particolari, lavorava dalle dieci di mattina fino alle tre di notte: gli straordinari che gli venivano pagati erano utili, ma il diabete gli rendeva difficile restare in piedi per così tante ore; si trascinava a stento tra i tavoli, a causa delle tre dita dei piedi amputategli un anno e mezzo fa. Le giornate di lavoro perse a causa delle visite mediche sono state devastanti, e alla fine gli sono costate il licenziamento.
Ora, per sopravvivere, deve chiedere l’elemosina: la sfida più grande però è trovare un posto sicuro dove procurarsi l’insulina.
“Ho provato a vivere in un rifugio, ma alcune persone continuavano a rubare le mie medicine perché pensavano le usassi per drogarmi”, afferma Charles.
Al momento passa le notti alla stazione della metro di McPherson Square, a circa seicento metri dalla Casa Bianca. Sa che i suoi vicini hanno firmato un ordine esecutivo con cui si richiede che la nuova sottoscrizione dei contratti pubblici preveda un salario minimo di dieci euro l’ora, meno di quanto Gladden percepisse in passato. Ritiene che il presidente Obama, e i senatori che vede passare ogni giorno, possano fare molto di più.
Forse decideranno di fare qualcosa di più, quando capiranno cosa significa trovarsi nei suoi panni. “Ma prima – dice Charles – devono sapere”.
L’articolo è stato originariamente pubblicato qui. Traduzione a cura di Jessica Cimino.