Il rivoluzionario giapponese che è stato arrestato dopo quasi 50 anni
La latitanza di Masaaki Osaka è terminata il 18 maggio nella città di Hiroshima. È accusato dell’omicidio di un poliziotto avvenuto durante una protesta a Tokyo nel 1971
Il 14 novembre del 1971, durante una protesta nel quartiere di Shibuya a Tokyo, Masaaki Osaka, con la complicità di altre persone, bruciò vivo Tsuneo Nakamura, un poliziotto di 21 anni, dopo averlo colpito con una sbarra d’acciaio, delle canne di bamboo e altri oggetti.
Studente universitario, all’epoca Osaka aveva solo 22 anni ed era un membro di spicco della cosiddetta Chūkaku-ha, la Fazione centrale della Lega comunista rivoluzionaria giapponese. Sei membri di questo comitato erano già stati arrestati prima degli anni Settanta e condannati per omicidio e numerosi altri reati.
Come diversi paesi d’Europa, dove si diffondevano le proteste di piazza da parte di movimenti politici giovanili, di destra e di sinistra, quel giorno d’autunno Tokyo vedeva sfilare manifestazioni contro il riconoscimento da parte giapponese della presenza militare americana sull’isola di Okinawa.
Secondo il quotidiano Asahi Shimbun, la protesta coinvolse almeno 400 persone, tutti studenti appartenenti a gruppi radicali di sinistra.
Osaka è anche accusato di essere stato il principale ispiratore delle violenze, infiammando la folla e trasformando una pacifica manifestazione in una vera e propria rivolta. A seguito di questo episodio, nel 1972, il rivoluzionario giapponese fu accusato di omicidio, aggressione e violenza privata.
Eppure per 45 anni l’uomo è riuscito ad evitare l’arresto. La sua latitanza è stata la più lunga da quando fu istituita l’Agenzia nazionale di polizia giapponese nel 1954.
L’uomo è stato arrestato il 18 maggio nella città di Hiroshima con l’accusa di ostacolo alla giustizia. Osaka avrebbe opposto resistenza a una perquisizione autorizzata in un appartamento noto alle forze dell’ordine per essere frequentato da attivisti di estrema sinistra.
Nonostante fosse latitante, invece di cercare di passare inosservato, il rivoluzionario ha protestato con i poliziotti che, in un primo momento, non si erano resi conto di chi avessero di fronte.
La polizia è riuscita a identificare l’uomo grazie al test del Dna, al confronto con alcune foto dell’epoca e all’analisi scheletrica dei contorni del suo viso. Le sue impronte digitali non erano infatti mai state registrate dalle autorità. Il 7 giugno è stato quindi consegnato alle forze di polizia di Tokyo.
Le forze dell’ordine sospettano che l’accusato sia stato aiutato nella latitanza da una rete di connivenze e complicità formata da ex attivitsti della Lega comunista.
Quest’organizzazione, fondata nel 1957 come gruppo trotzkista, contestava i metodi, le teorie politiche e i provvedimenti economici stalinisti adottati in Unione Sovietica e in altri paesi comunisti dell’epoca.
Obiettivo della Lega era quello di rovesciare il governo giapponese, mettere fine all’occupazione americana dell’isola di Okinawa e abrogare il Trattato di sicurezza tra gli Stati Uniti d’America e il Giappone del 1951, che prevede la sovranità americana sulle sue basi militari nel Sol Levante e limitazioni alla politica estera e militare giapponese.
Osaka, latitante per 46 anni, non ha al momento rilasciato alcuna dichiarazione.