“Ecco perché stiamo facendo il gioco di Putin”: il politologo Santangelo a TPI
L’aggressione a Kiev ha riaperto la faglia tra Russia e Occidente. Ma il politologo Salvatore Santangelo spiega a TPI: “Il mondo unipolare è finito”
Con l’invasione russa dell’Ucraina, iniziata il 24 febbraio scorso, si è riaperta una linea di faglia lungo l’Europa orientale che sta generando una profonda trasformazione negli equilibri internazionali.
Abbiamo discusso di questo con Salvatore Santangelo, politologo e geografo delle lingue, che ha pubblicato il libro “Fronte dell’Est – Passato e presente di un destino geografico”, edito da Castelvecchi.
Nel suo volume afferma che uno degli scopi di Putin è la riunificazione dei russofoni sotto l’egida di Mosca. È un obiettivo raggiungibile in Ucraina?
«Direi che nel Donbass questo obiettivo, di matrice etno-linguistica, sia per Putin a portata di mano. Occorre capire quale sarà la forma scelta. Potrebbe optare per l’annessione alla Russia di questi territori e di queste popolazioni, oppure puntare alla nascita di una nuova entità, la cosiddetta “Nuova Russia”. Il tema delle diaspore “sovietiche” è particolarmente complesso, più gestibile a Oriente, meno a Occidente, soprattutto nella zona del Baltico dove potrebbe essere, considerata la presenza della Nato, foriera di un’ulteriore escalation. Non a caso dobbiamo monitorare con attenzione l’enclave geografica e politica di Kaliningrad».
Possiamo affermare che l’Occidente, attraverso l’isolamento economico e diplomatico della Russia, stia facendo il gioco di Putin nella creazione di un sistema alternativo a quello a guida Usa?
«Questa è la questione centrale della mia analisi: e se in fondo stessimo facendo il gioco dell’autocrate di Mosca? Consideriamo i Brics: a parte il Brasile di Bolsonaro, questi Paesi sono simpatetici con la causa russa, persino la democratica India. Allo stesso modo lo sono la maggior parte dei Paesi produttori di gas e petrolio che non sostengono l’Occidente sia perché avvantaggiati dagli alti prezzi, che per timore della repentinità della transizione energetica. Sullo sfondo c’è la scommessa che i regimi liberali non riusciranno a reggere l’urto della guerra economica da essi stessi scatenata, e ciò per il combinato disposto dell’inflazione galoppante (effetto delle misure espansive attuate a partire dal 2008-2009) e della depressione economica post pandemica. A questo si potrebbe aggiungere una crisi migratoria amplificata da quella alimentare. Una tempesta perfetta che potrebbe dare ulteriore forza alle formazioni populiste, sovraniste e antieuropeiste che – salvo per Fratelli d’Italia nel nostro Paese e per i polacchi (del PiS, ndr) – sono chiaramente filo-putiniane».
Lei crede che gli Usa abbiano un interesse collaterale nel far sì che la guerra in Ucraina si prolunghi così da ritardare la ricucitura dello strappo russo-tedesco?
«Direi che tra gli interessi degli Stati Uniti c’è anche quello di prosciugare ogni sacca di ambiguità nei confronti di Russia e Cina, ambiguità che permane tra alcuni suoi alleati, penso a Germania, Italia e Giappone (chiaramente con gradazioni diverse). La guerra di Putin offre agli Usa questa opportunità: riallineare tutti i (riluttanti) alleati e spingere quelli che abbiamo citato ad accollarsi una sostanziosa parte dei costi della difesa collettiva, chiaramente a scapito di sistemi di welfare che per Washington appaiono politicamente, ma ancor più ideologicamente anacronistici. Questo sarà un punto nodale dell’evoluzione dell’integrazione comunitaria e dei rapporti transatlantici».
Alla luce delle evoluzioni della politica di Regno Unito e Italia, pensa che l’Operazione speciale sia il canto del cigno di una nazione autoritaria in declino, oppure che il 24 febbraio sopravvivrà a Putin segnando l’inizio di una nuova fase illiberale che potrebbe espandersi tra Europa e Usa?
«La Russia non è l’Impero zarista né l’Urss. Si tratta di un moncone di queste antiche costruzioni politiche, un moncone ossessionato dal sogno di rivalsa ma in profonda crisi economica, demografica e politico-istituzionale, destinato a giocare il ruolo di junior partner di un’eventuale alleanza con la Cina. Ma anche gli altri protagonisti della scacchiera internazionale non godono di buona salute. Comunque, al di là della vittoria o meno di Putin, possiamo definire il 24 febbraio come un super 11 settembre e come la fine del mondo unipolare. Presto capiremo se prenderà forma un condominio Sino-Americano o un confuso multipolarismo. Purtroppo vedo diffondersi la tentazione di uomini (o donne) forti e la pericolosa sensazione che le nostre istituzioni democratiche e liberali non siano in grado di affrontare la portata delle sfide in arrivo».