Trump avrebbe ostacolato le indagini sui documenti riservati trovati nella sua villa
Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha rilasciato martedì sera un documento di 36 pagine nel quale mette in dubbio la disponibilità di Donald Trump a collaborare nell’indagine riguardante la sua detenzione illecita di vari documenti top secret. L’amministrazione americana sospetterebbe una tentata ostruzione alla giustizia da parte dell’ex presidente degli Stati Uniti al fine di rimanere in possesso di informazioni altamente riservate.
L’accusa si riferisce al ritrovamento di diversi documenti durante una perquisizione dell’8 agosto a Mar-a-Lago, la proprietà in Florida di Donald Trump. Gli agenti federali vi hanno sequestrato 33 scatole e diversi contenitori che contenevano più di 100 documenti classificati, comprese informazioni classificate ai “massimi livelli”.
“Il fatto che l’FBI, in poche ore, abbia recuperato il doppio dei documenti con contrassegni di classificazione rispetto alla ‘ricerca diligente’ che il consulente dell’ex presidente e altri rappresentanti hanno avuto settimane di tempo per effettuare mette in serio dubbio la portata della cooperazione in questa vicenda.” hanno scritto gli autori del documento Jay Bratt, capo della sezione controspionaggio del dipartimento di Giustizia e il procuratore Juan Antonio Gonzalez.
L’indagine dell’FBI su Donald Trump è iniziata a gennaio, quando la National Archives and Records Administration ha recuperato dei documenti di stato, di cui alcuni riservati, da Mar-a-Lago, la villa in Florida dell’ex presidente repubblicano. Il problema è che quei documenti sensibili avrebbero dovuto essere negli archivi statali sin dalla fine del mandato di Trump, conclusosi a gennaio 2021, e non nella villa privata del tycoon, che al momento non ricopre nessuna carica politica. Secondo il Washington Post i documenti includevano persino lettere del presidente nord coreano Kim Jong Hun.
Sono stati proprio gli archivi nazionali a chiedere al Dipartimento di Gustizia (DOJ) di lanciare un’indagine sul ex-presidente, accusato di violare il Presidential Records Act. Dopo aver citato Trump, richiedendo la restituzione di eventuali documenti in suo possesso, gli investigatori avevano motivi di credere che c’erano ancora documenti nella proprietà dell’imprenditore. Di conseguenza l’8 agosto l’FBI ha perquisito la proprietà stimata intorno ai 160 milioni di dollari. Il procuratore generale Merrick Garland ha detto di aver dato il via libera alla perquisizione, considerata “incostituzionale” dai conservatori e dall’interessato. Il capo del Dipartimento di Giustizia aveva difeso la sua decisione ribadendo che “il Dipartimento non prende tale decisione alla leggera. Ove possibile, è prassi cercare mezzi meno intrusivi in alternativa a una perquisizione, e circoscrivere in modo restrittivo qualsiasi ricerca”. Durante la perquisizione sono stati ritrovati altri documenti di cui vari classificati top secret. Tra loro foto, note scritte, documenti riguardanti la commutazione della pena di uno stratega repubblicano e addirittura un fascicolo riguardante il presidente francese Macron. Ancora più grave sarebbe la detenzione di documenti riguardanti armi nucleari, che secondo diverse testate americane figurano nella lista dei documenti ricercati dall’FBI.
Trump ha intentato una causa legale il 22 agosto chiedendo che un arbitro super partes si occupi delle indagini riguardanti i documenti ritrovati. Da quando la faccenda è stata resa nota infatti, il potenziale candidato alle elezioni 2024 dice di essere vittima di una persecuzione politica. La risposta del Dipartimento di Giustizia è stato il documento publicato ieri, nel quale Trump viene accusato di aver agito in modo ostile alle indagini.
Secondo il mandato di perquisizione il campione del “Make America Great Again” potrebbe essersi macchiato di diverse violazioni: spionaggio, ostruzionismo a indagini federali in corso, detenzione illegale e distruzione di documenti di stato. Tutti reati che possono portare all’incarcerazione di chi ne è ritenuto colpevole.
La storica Lindsay Chervinsky ha spiegato al Post come tali reati ledano il principio democratico della trasparenza delle azioni dei presidenti di fronte agli elettori. “L’unico modo in cui un presidente può essere davvero ritenuto responsabile a lungo termine è quello di conservare una documentazione su chi ha detto cosa, chi ha fatto cosa, quali politiche sono state incoraggiate o adottate, e questa è una parte fondamentale della portata a lungo termine della responsabilità – al di là delle elezioni e delle campagne elettorali”.