Gli Stati Uniti vogliono la guerra contro la Cina?
Nel film “The Coming War on China”, il giornalista e documentarista australiano John Pilger spiega perché dietro le tensioni con la Corea del Nord potrebbe esserci lo spettro di un conflitto tra Cina e Usa
Sono molti nel mondo a temere un conflitto tra Stati Uniti e Corea del Nord. Le tensioni tra i paesi crescono di giorno in giorno, così come il già accesissimo confronto dialettico tra i suoi due leader, Donald Trump e Kim Jong-un.
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Dietro la crisi con Pyongyang, però, potrebbe esserci un obiettivo decisamente più grande e pericoloso: la Cina.
Ne è certo il giornalista e documentarista australiano John Pilger, che nel suo nuovo film intitolato The Coming War on China spiega i motivi per cui una guerra nucleare tra le due maggiori potenze mondiali non è più qualcosa di impensabile nel 2017.
Pechino si sente minacciata dalla massiccia presenza militare statunitense nel continente, aumentata negli ultimi sei anni dopo i controversi proclami dell’ex presidente Barack Obama di voler dare il via a una strategia di contenimento del potere cinese sugli altri paesi asiatici.
Una strategia che ha portato gli Stati Uniti a un dispiegamento militare imponente che ha accerchiato il gigante asiatico: “Dall’Australia a tutto l’oceano Pacifico, le basi statunitensi formano un enorme cappio che stringe la Cina con missili, bombardieri e navi”, ha detto Pilger ad Al Jazeera.
Gli Stati Uniti circondano la Cina con 400 basi militari, navi da guerra e le piattaforme missilistiche in Corea del Sud e a Okinawa.
“Quando si sale sulla cima del grattacielo più alto di Pechino e si osserva in direzione dell’oceano Pacifico, si vedono le navi da guerra statunitensi e l’isola di Guam che sembra quasi affondare per quanti missili siano dispiegati sulla sua superficie. Tutti gli armamenti installati sulla penisola coreana puntano verso la Cina e il Giappone è essenzialmente un guanto che copre il pugno di Washington”, ha affermato Pilger.
Pechino, al contrario, non ha né navi né basi militari al largo delle coste californiane; non esiste una concreta e dimostrabile minaccia cinese contro Washington, anche se nel paese i costi per la difesa militare sono cresciuti in maniera significativa dopo i proclami di Obama sulla costruzione di un “perno americano” in Asia.
La strategia di tensione iniziata dall’ex presidente democratico è continuata con il suo successore, il repubblicano Donald Trump.
Nel corso della campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 2016, il tycoon newyorchese aveva annunciato di voler imporre tariffe elevate sulle importazioni cinesi: “Non permetteremo più alla Cina di stuprare il nostro paese e continuare a fare ciò che vogliono”. Una minaccia esplicita nei confronti di Pechino, cui tuttavia non ha ancora fatto seguito alcun provvedimento ufficiale.
Nonostante questo, la tensione tra le due potenze mondiali è aumentata a causa della crisi nordcoreana, “estremamente pericolosa” secondo Pilger; soprattutto dopo il rifiuto dell’amministrazione Trump di aprire un negoziato con Pyongyang che, con il sostegno di Cina e Russia, si era detta disponibile al confronto diplomatico in caso di ritiro delle flotte statunitensi dalle proprie acque territoriali.
Secondo Pilger, la Corea del Nord è disponibile a firmare un trattato di pace che ponga fine all’estenuante conflitto iniziato più di 60 anni fa. Una fine che allontanerebbe definitivamente la minaccia statunitense dalla penisola e che negli anni Novanta sembrava più vicina. Tutto questo prima che George W. Bush chiudesse definitivamente le porte a un confronto.
A preoccupare gli Stati Uniti è soprattutto l’enorme crescita economica cinese che, secondo l’élite politica e finanziaria americana, minaccia quello che Pilger chiama “il dominio” di Washington negli affari non solo in Asia, ma in tutto il mondo.
Nonostante la situazione sempre più complessa, John Pilger crede possa esserci ancora una via pacifica allo scontro tra Stati Uniti e Cina: “Le provocazioni, tuttavia, possono portare a valutazioni sbagliate, errori o incidenti, soprattutto quando la minaccia nucleare è tangibile come lo è oggi”.