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Sri Lanka: le proteste contro la dinastia che da 20 anni controlla i destini del Paese

Immagine di copertina
Credit: EPA/CHAMILA KARUNARATHNE

Sri Lanka: le proteste contro la dinastia che da 20 anni controlla i destini del Paese

Salvato dai militari mentre una folla inferocita di manifestanti dà alle fiamme la sua casa. Si è chiuso così l’ultimo capitolo della carriera politica di Mahinda Rajapaksa, presidente e poi primo ministro dello Sri Lanka per 16 degli ultimi 18 anni. Alla guida di una famiglia che da decenni occupa le istituzioni del paese, l’ex capo del governo è stato costretto alle dimissioni il 9 maggio scorso, dopo settimane di proteste in tutto il paese. A scatenarle la peggiore crisi economica nella storia dello Sri Lanka, costretto lo scorso mese al default.

Nelle ultime settimane, gli sconvolgimenti seguiti prima alla pandemia e poi alla guerra in Ucraina hanno spinto alle stelle i prezzi di benzina e prodotti alimentari, mentre le sempre più scarse riserve di valuta estera hanno fermato le importazioni di molti beni di prima necessità, con carenze anche di farmaci e apparecchiature mediche.

Un quadro esplosivo che ha spinto le autorità del paese a chiedere l’aiuto del Fondo monetario internazionale, con cui i negoziati prenderanno il via questa settimana, e anche della Cina, di cui Colombo è partner stretto. Pechino è infatti il principale finanziatore del paese, con debiti ancora in essere per 6,5 miliardi di dollari, che negli ultimi anni hanno finanziato la costruzione di infrastrutture come un porto, un aeroporto e una centrale a carbone.

Dopo diverse settimane di proteste perlopiù pacifiche, la situazione è precipitata lunedì scorso, quando sono scoppiati violenti scontri tra manifestanti filo-governativi e quelli d’opposizione sul lungomare di Colombo. Secondo le autorità, circa 217 persone sono rimaste ferite nel parco di Galle Face, e almeno otto sono morte. Poco dopo l’imposizione di un coprifuoco, Mahinda Rajapaksa ha annunciato le sue dimissioni da primo ministro, comunicandole al fratello Gotabaya, che ricopre la carica di presidente della Repubblica.

L’annuncio non ha fatto nulla per placare la rabbia dei manifestanti, mentre le televisioni trasmettevano immagini di militanti filogovernativi armati di bastoni, che picchiavano gli oppositori e bruciavano le loro tende. All’alba del giorno successivo, un gruppo di oppositori è riuscito a entrare per due volte nella residenza dell’ex primo ministro, difeso dall’intervento provvidenziale dei militari. L’uomo che nel 2009 aveva proclamato la vittoria nella lunga guerra civile contro le Tigri Tamil, è stato poi portato a una base militare nel nordest del paese, presto circondata da altri manifestanti.

Un’uscita di scena ingloriosa per il “re guerriero” e per il suo clan, che da decenni controlla i destini del paese del Sudest asiatico. Prima ancora di Mahinda, erano stati costretti a un passo indietro i fratelli Basil e Chamal, ex ministri delle Finanze e dell’Irrigazione, e il figlio Namal, ex ministro dello Sport. Contro la famiglia, l’opposizione ha lanciato accuse di corruzione e di violazioni dei diritti umani e anche di aver accentuato le divisioni etniche nel paese per rimanere al potere. Adesso è rimasto solo il fratello Gotabaya, che nella posizione di capo dello stato sta tentando, finora inutilmente, di convincere l’opposizione a formare un governo di unità nazionale.

“Sarà intrapreso ogni sforzo per ripristinare la stabilità politica tramite il consenso, entro il mandato costituzionale, e per risolvere la crisi economica”, ha detto il presidente dello Sri Lanka, che nel fine settimana ha proclamato lo stato d’emergenza, dando ai militari il potere di fare arresti. L’opposizione, come i manifestanti, hanno finora rifiutato qualsiasi compromesso, chiedendo la rimozione anche dell’ultimo Rajapaksa rimasto al potere. Come detto da uno dei manifestanti al Washington Post “non sarà finita finché Gota non se ne sarà andato a casa”.

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