Sono stata in Iraq, a due passi dall’Isis, insieme a una combattente curda
Eleonora Giuliani e Justin Ames sono stati a Mosul, in Iraq. La loro storia sul campo per TPI racconta di Asmaa Dahar, giovane yazida che combatte con i peshmerga curdi
MOSUL, IRAQ – Mentre gioca nervosamente con il suo fucile, Asmaa Dahar, 21 anni, appartenente alla minoranza religiosa degli yazidi, mi racconta dell’arrivo inaspettato dell’Isis nella sua vita. Gli abitanti del piccolo villaggio iracheno in cui è nata e cresciuta, Seba Shekh Kheder, come tante altre comunità yazide, non avevano idea del destino crudele che stava per abbattersi su di loro.
Mentre i guerriglieri del gruppo estremista prendevano il controllo del villaggio, Asmaa ha dovuto assistere alle uccisioni, agli stupri e alla morte violenta di amici e vicini. Racconta di essere stata catturata e costretta ad assistere alla decapitazione di suo zio, mentre le sue cugine venivano trascinate via dai combattenti islamici. Urlavano moltissimo, mi dice.
Nel caos e nella confusione di quei giorni, Asmaa ha perso di vista la sua famiglia. Ancora oggi non ha notizie dei suoi cari e l’incertezza sul loro destino continua a tormentarla.
Con lo sguardo perso nel vuoto mentre racconta la sua esperienza, mormora che dopo la cattura le è successo qualcosa di “davvero brutto”. Non è chiaro in modo esplicito che cosa voglia dire “qualcosa di davvero brutto”, ma il contesto della nostra conversazione mi ha portato a intendere che Asmaa sia stata stuprata.
Dopo alcuni mesi passati come prigioniera nelle mani dell’Isis, Asmaa ha approfittato della confusione ed è riuscita a scappare nel corso di uno scontro tra l’Isis e un piccolo gruppo di guerriglieri curdi. Ma questo è stato solo l’inizio del suo calvario.
Circondata da territori sotto il controllo dell’Isis e non avendo molte possibilità di fuga, Asmaa è stata costretta a unirsi al gruppo di curdi che avevano appena attaccato i combattenti jihadisti. Alla ricerca disperata di volontari che volessero arruolarsi per sconfiggere l’Isis, i guerriglieri hanno indotto la giovane donna a unirsi a loro, senza tuttavia fornirle alcun tipo di formazione militare.
“L’unica volta che mi sono rifiutata di combattere sono stata imprigionata per giorni senza acqua e cibo”, mi dice Asmaa. Ciononostante, è riuscita di nuovo a scappare e, attraversando l’intero paese, è riuscita a raggiungere un campo profughi nel Kurdistan.
Considerate le atrocità e le terribili sofferenze della minoranza religiosa yazida prigioniero dell’Isis, delle centinaia di migliaia di rifugiati, delle torture e delle uccisioni di così tanti uomini, donne e bambini, e delle migliaia di ragazze e bambine brutalmente violentate e costrette a diventare schiave del sesso, è spesso quasi scontato pensare che gli yazidi siano un popolo senza speranza, abbandonato al proprio destino crudele.
Ma proprio questa condizione sfavorevole ha permesso ad alcuni yazidi di portare avanti con determinazione la propria battaglia per la sopravvivenza. La loro è una storia di vendetta e di riscatto. Le donne e le bambine imprigionate, schiavizzate e stuprate dall’Isis – subendo ingiustizie e crudeltà disumane – sognano oggi una rinascita, anche violenta e sanguinosa se necessario.
Alcune di queste ragazze, come Asmaa, sono riuscite a fuggire dai propri aggressori e a raggiungere le zone protette e controllate dalle unità dei guerriglieri Peshmerga. È proprio qui che alcune di queste donne traumatizzate sono rinate, diventando coraggiose combattenti yazide.
Queste unità di combattenti accettano le donne come volontarie, le addestrano e trovano uno scopo alle loro vite distrutte, venendo incontro alla sete di vendetta che alimenta gran parte delle loro giornate. Potremmo chiamarla “terapia della guerra”.
Le trincee di guerra si trovano a breve distanza da Mosul ed è proprio qui che ha base l’unità di Asmaa, uno dei tanti nuclei che formano la Hiza Agre Fire Force Unit 80, composta esclusivamente da volontarie. Questa unità di combattenti donne è guidata da Hasiba Nawzad, che spiega che la storia di Asmaa non è purtroppo un caso isolato.
“Molte ragazze vengono dalla Siria, da Sinjar e da Mosul – da dovunque riescano a scappare”, mi spiega Hasiba grazie alla traduzione di un interprete. “L’Isis ha stravolto le loro vite, derubandole di tutto ciò che avevano di più caro: le loro case, le loro famiglie, la loro dignità. Alcune di queste ragazze sono le uniche superstiti e non hanno più niente e nessuno”.
Lasciando suo marito e la sua vita agiata in Germania, anche Hasiba ha dovuto rinunciare a molto per entrare a far parte di questa unità di combattenti. Tuttavia, il comandante – anch’essa rigorosamente donna – ha giustificato la sua decisione spiegandomi che la battaglia esistenziale degli yazidi e delle altre minoranze presenti nella regione è diventata la battaglia di tutti, uomini e donne. Sono in particolare quest’ultime a ricoprire un ruolo fondamentale.
“Tutti sono in grado di premere il grilletto e qui, in particolare le ragazze, sono motivate e determinate. Non si trovano altrove ragazze così capaci e coraggiose come quelle che fanno parte di queste unità”, sostiene Hasiba.
“L’Isis non è una forza con cui si può ragionare o negoziare. Si tratta di criminali, e come tali vanno affrontati e sconfitti. Non è possibile tornare a condurre una vita normale dopo aver ucciso, stuprato e sfruttato così tante vittime indifese”.
Molte di queste ragazze, in passato, non si sarebbero immaginate neanche lontanamente di diventare guerrigliere, ma ora sono pronte a combattere e a riprendersi quello che è stato tolto alla loro vita, ai loro affetti.
Per entrare a far parte dell’unità di volontarie di Hiza Agre, non è necessario avere una formazione militare. Tuttavia, le ragazze devono essere in ottima salute fisica e aver più di 18 anni. Funziona così: si segue un programma rigido che insegna tattiche militari, lotta su strada, gestione delle armi da combattimento e, di recente, a causa delle gravi perdite umane, anche come affrontare un attacco suicida.
Un uomo americano che ho incontrato e che preferisce rimanere anonimo, in passato paracadutista del 82nd Airborne e ora in Kurdistan per contribuire alla formazione delle volontarie, ha sottolineato le qualità militari di queste donne: “Non vorrei sicuramente trovarmi ad affrontare una di queste ragazze sul campo di battaglia”, mi ha detto.
Nemmeno i combattenti dell’Isis vogliono avere niente a che fare con loro. Attraverso l’intercettazione di comunicati via radio dei combattenti Isis, i Peshmerga sono venuti a conoscenza del fatto che i militanti del gruppo estremista credono che, se dovesse essere una donna a ucciderli, non andranno in paradiso dopo la morte.
La presenza di queste ragazze sul campo di battaglia provoca terrore tra i combattenti dell’Isis costretti ad affrontarle.
“Sanno chi siamo e che siamo agguerrite. Hanno paura di noi”, dice Hasiba. Guidate dal forte desiderio di vendicarsi delle ingiustizie subite, queste donne sono combattenti molto determinate.
“Lotterò accanto ai miei fratelli e sorelle Peshmerga per proteggere la nostra terra e i nostri diritti, e combatterò l’Isis fino al mio ultimo respiro”, aggiunge Asmaa.
Asmaa è orgogliosa di aver già ucciso due soldati dell’Isis ed è in trepida attesa dell’imminente avanzata militare contro Mosul, per poter aggiungere altre esecuzioni al suo bottino di guerra.
Ciononostante, mi confessa una cosa: il suo vero desiderio è quello di liberare il suo villaggio, che un tempo considerava casa sua, e di scoprire cosa sia successo alla sua famiglia, con la speranza di poter ritrovare i suoi cari e di ritornare a vivere la vita che le è stata strappata con tanta crudeltà.
* Eleonora Giuliani ha scritto questo articolo mentre Justin Ames ha scattato le foto il 25 marzo 2016 nella base militare di Hiza Agre Fire Force Unit 80, sul campo di battaglia fuori Mosul. Eleonora e Justin sono una coppia di giornalisti che hanno pubblicato su diverse testate nazionali e internazionali, tra cui The Guardian, Bbc e Focus. Specializzati in reportage di conflitti etno-politici, si stanno al momento occupando della guerra contro l’Isis e questa storia è il risultato del loro viaggio più recente
(Nella foto qui sotto: Asmaa Dahar, la protagonista della storia)
(Nella foto qui sotto: Hasiba Nawzad)