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Siria, soldati Isis in fuga dalle carceri curde colpite da Erdogan: 2mila foreign fighters pronti a tornare in Europa

Immagine di copertina

Nelle carceri siriane controllate dall'Ypg ci sarebbero anche combattenti Isis europei e italiani. Intanto, centinaia di affiliati sono scappati dal campo a nord est della Siria colpito dai bombardamenti

Siria, i combattenti Isis liberi dal controllo curdo potrebbero arrivare in Europa

Migliaia di soldati Isis potrebbero tornare in libertà dopo l’offensiva turca a nord est della Siria, dove le truppe di Erdogan hanno colpito, tra i vari bersagli, le carceri in cui l’Unità di protezione del popolo curdo (Ypg) ha in custodia i combattenti Daesh o i loro famigliari.

Le autorità curde hanno annunciato oggi, domenica 13 settembre, la fuga di almeno 800 affiliati dell’Isis dal campo di Ayn Issa, una delle principali località in cui Ankara ha compiuto i primi raid, a circa 35 chilometri a sud dal confine turco, dove ci sono 12mila persone tra cui mogli e vedove di combattenti Isis con i loro figli.

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L’amministrazione semiautonoma della regione curda ha detto che i detenuti hanno attaccato le guardie e travolto le recinzioni.

“Il campo di Ayn Issa è ormai senza controllo”, hanno riferito i curdi.

È allarme in Europa, perché tra i soldati detenuti nei campi curdi ci sarebbero – secondo fonti statunitensi che hanno mappato la presenza dell’Isis in Siria quando le truppe americane presidiavano ancora la regione – oltre 2mila foreign fighters europei pronti a tornare a casa, e centinaia di adolescenti potenzialmente addestrati a compiere attacchi suicidi.

La Francia, da cui in questi anni sono partiti migliaia di foreign fighters per le zone del fronte, si dice “preoccupata” per le notizie rilanciate dalle autorità curde: “Siamo preoccupati di quello che potrebbe succedere, perciò vogliamo che la Turchia fermi il prima possibile le operazioni che ha iniziato”, ha detto la portavoce del governo francese Sibeth Ndiaye alla tv France.

E anche in Italia Conte ha lanciato l’allarme. In collegamento telefonico con Piazza Pulita giovedì 10 ottobre, ha dichiarato: “Le migliaia di foreign fighters sotto il controllo dei curdi rischiano di essere liberati. Quindi paradossalmente anziché risolvere la questione dei terroristi la può aggravare ancora di più”, ha detto il premier.

Anche se i combattenti italiani rappresentano una minoranza del totale di foreign fighters, per la maggior parte partiti da Francia, Germania o Belgio, ci sono cinque nomi sotto osservazione di Intelligence e antiterrorismo italiano, tra cui tre “Lady Jihad” che da tempo chiedono di poter tornare, e un’altra dozzina di combattenti partiti in questi anni dall’Italia con l’obiettivo di combattere tra le fila di Daesh.

A marzo, nella Relazione annuale al Parlamento, i servizi segreti italiani parlavano di un totale di 138 foreign fighters partiti dal nostro Paese, mentre fonti curde hanno rivelato ad Aki-Adnkronos International che attualmente “una donna, i suoi due figli e un combattente italiani dell’Isis sono nelle prigioni nella Siria nordorientale gestite dall’Ypg”.

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“Rischiamo di trovarci i terroristi in casa per colpa di Erdogan”, ha detto il senatore ex Pd e presidente dei senatori di Italia Viva, Davide Faraone. “Erdogan ci spaventa con la minaccia di far superare le frontiere ai profughi siriani e nel frattempo apre le porte delle prigioni curde ai terroristi ex jihadisti dell’Isis. Sotto il controllo delle forze curde ci sarebbero circa 12 mila jihadisti e 70 mila loro familiari, alcuni anche di origine italiana”, ha precisato Faraone.

Ma, a prescindere dall’appartenenza nazionale dei combattenti, la possibile minaccia esiste laddove chiunque tra i migliaia di soldati in fuga dalle carceri provi ad entrare in Europa, oltre a compiere nuovi attentati in Siria, dove venerdì 11 ottobre una cellula Isis ha già fatto esplodere un’autobomba a Qamishli, città curda attualmente stretta tra il fuoco turco e quello dello Stato Islamico, uccidendo la segretaria del partito “Futuro della Siria”, Havrin Khalaf.

Come riporta l’inviato di Repubblica Fabio Tonacci, il rischio per l’Italia non è tanto rappresentato dai combattenti di ritorno, quanto piuttosto dal fatto che le coste mediterranee sono la via più facile per muoversi dalla Siria all’Europa, e dunque i foreign fighters potrebbero utilizzare il corridoio via mare che porta dalla Turchia alla Grecia e, dalla Grecia, in Italia.

Intanto, anche le altre carceri siriane dove vivono da mesi i famigliari di combattenti Isis uccisi sono state travolte da proteste e agitazioni, peggiorate dalla riduzione dei presidi da parte delle forze curde ora impegnate nella controffensiva a nordest.

L’11 ottobre, due giorni dopo l’inizio dei bombardamenti da parte del governo di Ankara, la polizia curdo-siriana ha represso una protesta di donne nel campo profughi di al Hol, nell’est del Paese al confine con l’Iraq, dove sono ammassate circa 70mila persone, per lo più donne e bambini familiari di combattenti Isis uccisi o imprigionati.

La polizia curda è entrata in ranghi ridotti nel campo profughi per sedare disordini e lanci di pietre partiti da gruppi di donne che incitavano contro le forze curdo-siriane. Tra queste ci dovrebbero essere anche le “nostre” Lady Jihad, di cui una, Alice Brignoli, 43enne di Lecco, partita quattro anni fa insieme al marito Mohamed Koriachi e a quattro figli.

Le fonti locali riferiscono che da quando è cominciata l’offensiva militare turca nella Siria nord-orientale contro le forze curde, si teme che le decine di migliaia di civili del campo, molti dei quali solidali con l’Isis, si rivoltino e prendano il sopravvento sulla polizia curda, che, colpita da Erdogan, non ha più risorse per fermarli.

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