“Nessuno ne parla più, ma in Siria il massacro di civili continua”: TPI intervista gli attivisti in sciopero della fame
Siria, attivisti in sciopero della fame
Più di un mese fa, il siriano Brita Haji Hassan, 42 anni, ha iniziato uno sciopero della fame in Francia per porre fine all’escalation di bombardamenti nelle province di Idlib, Hama e Aleppo, nel nord della Siria. Poi ha portato la protesta in Svizzera, di fronte al quartier generale delle Nazioni Unite a Ginevra. Ventiquattro giorni dopo, quando allo sciopero avevano aderito anche diversi altri attivisti, Brita Haji Hassan è stato ricoverato in un ospedale a Ginevra come conseguenza della sua estenuante iniziativa.
I membri della campagna, che continua oggi in più di 12 Paesi in Europa così come nei paesi arabi, negli Stati Uniti e all’interno della Siria, hanno iniziato ad ampliare l’iniziativa e a cercare di darvi risonanza per raggiungere l’opinione pubblica occidentale e internazionale. Lo sciopero ha assunto la forma di una campagna organizzata chiamata “campagna dello stomaco vuoto” con lo slogan: “Nessun cibo finché non termineranno i crimini”. Il numero degli scioperanti comprende ormai 70 attivisti in tutto il mondo: la pagina ufficiale della campagna su Facebook nel giro di poche settimane ha raggiunto 5mila sostenitori.
Tutti sono uniti da un unico obiettivo: fermare l’emorragia di sangue siriano e i massacri, in particolare dopo la recente offensiva lanciata dal Governo di Damasco con i suoi alleati russi e gli iraniani nelle regioni di Idlib, Hama e Aleppo.
Qui, ha confermato un rapporto della rete siriana per i diritti umani del giugno scorso, almeno 416 civili sono stati uccisi nel mese di maggio, tra cui quattro paramedici e un membro della Protezione Civile. Il rapporto ha aggiunto che le forze di Damasco hanno ucciso 269 civili, tra cui 51 bambini e 48 donne, mentre 45 civili, tra cui 17 bambini e 10 donne, sono stati uccisi a seguito di un probabile bombardamento russo.
Brita Haji Hassan, fondatore ed ex sindaco di Aleppo Free City, nominato per più di un anno come sindaco del mondo, una posizione onoraria assegnata dall’associazione dei sindaci alle personalità che contribuiscono al progresso delle loro comunità, ha parlato a TPI dello sciopero che ha iniziato e del suo obiettivo. “Lo sciopero è un mezzo pacifico con cui vogliamo trasmettere il nostro messaggio in modo diverso, perché implica una sorta di sacrificio che non esiste negli altri mezzi pacifici disponibili, come le dimostrazioni”, spiega. “Proteggere i civili e fermare la loro morte merita sacrificio, oltre a confermare che la nostra rivoluzione può continuare pacificamente nonostante tutto”.
Secondo Abdelkader Bakkar, un attore e regista teatrale siriano che vive ad Ankara, in Turschia, e che è stato in sciopero della fame per 12 giorni, le dimostrazioni e gli appelli dei siriani in diverse parti del mondo non hanno ricevuto sufficiente attenzione dall’opinione pubblica mondiale. Lo sciopero ha attirato l’attenzione di molte persone, attivisti e media. “Per me, questo sciopero è un grido di fronte al silenzio dei governi occidentali, che vedono i massacri quotidiani che avvengono ogni giorno in Siria con tutti i tipi di armi proibite a livello internazionale”.
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La campagna non si limita ai siriani in Siria e alla diaspora, ma coinvolge anche attivisti in Europa e negli Stati Uniti che hanno annunciato la loro adesione alla campagna. Francesca, un’attivista italiana di Modena, ha annunciato uno sciopero della fame otto giorni fa, e ha parlato con TPI delle motivazioni che l’hanno spinta ad aderire all’iniziativa: “Io seguo la questione siriana dal 2013 e ho pienamente capito la difficoltà della situazione attuale per i civili che si trovano sotto il fuoco in Siria”, osserva. “Dobbiamo sostenerli e dire loro che non sono soli e che ci sono quelli che stanno cercando di sostenerli. Quello che ha fatto Brita è stato impressionante, non potevo guardare in silenzio e battere le mani mentre lui stava perdendo la sua salute, e ho sentito che era mio dovere partecipare a questa campagna”.
Da parte sua, Cory Strachan, 41 anni, artista grafico del Michigan negli Stati Uniti, si è unita alla campagna il primo luglio: “Quello che sta accadendo in Siria è un continuo massacro e una catastrofe umana e il mondo deve trovare una soluzione”, dice. “Il mondo deve assumere una posizione unitaria per fermare il sangue siriano. Partecipare a questo sciopero è molto semplice ed è un sacrificio insignificante rispetto a quello che succede ogni giorno ai civili in Siria”.
Lo sciopero è stato rafforzato dall’istituzione di numerosi sit-in in diverse città europee. Nesrin Trabelsi, in un’intervista con TPI da Downing Street a Londra, dove ha tenuto un sit-in per più di dieci giorni, ha sottolineato che la rivoluzione siriana continua pacificamente e che i siriani che vivono all’estero hanno il dovere mediatico e umanitario di trasmettere la voce dei siriani residenti nelle zone dei bombardamenti. “Abbiamo perso la speranza per l’opposizione politica. Abbiamo problemi di libertà, democrazia e giustizia sociale, e dobbiamo continuare a raggiungere i nostri obiettivi in un paese libero da tutti gli assassini in Siria”, sottolinea. “Il supporto dei media è molto importante per la nostra campagna per riportare la questione siriana in primo piano e non dimenticarla”.
Il Comitato organizzatore dello sciopero ha inviato lettere a centinaia di agenzie, piattaforme mediatiche e organizzazioni internazionali e umanitarie, tra cui una lettera al Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, nonché a un certo numero di parlamenti europei. Finora, gli scioperanti hanno insistito per continuare e ampliare la campagna fino a quando compaiono serie misure politiche sul terreno per fermare i massacri quotidiani in Siria.
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