Siria, Mosca e Damasco preparano l’offensiva finale per prendere Idlib: a rischio 2,5 milioni di civili
L'Onu ha ribadito l'allarme sul rischio di "catastrofe umanitaria" in caso di attacco e ha chiesto l'apertura di un corridoio per far uscire i civili
In Siria si avvicina l’offensiva finale per espugnare l’ultima roccaforte dei ribelli, nella provincia settentrionale di Idlib, dove il regime di Damasco ha ammassato tra i 100mila e i 150mila uomini in vista di quella che si annuncia come una campagna anche più sanguinosa di quelle per Aleppo e la Ghouta orientale, alla periferia della capitale.
Attorno alla città sono già ammassati i soldati di Bashar al-Assad e le milizie sciite inviate da Teheran.
Mosca, l’alleata di Assad che ha potenziato il suo contingente nell’area, spera di poter arginare un’eventuale reazione della coalizione anti-Isis, guidata dagli Stati Uniti, che hanno già minacciato di reagire nel caso in cui il regime usi armi chimiche per stanare i terroristi legati ad al-Qaeda.
Per il Cremlino, invece, l’uso di armi chimiche può essere possibile solo con una “messinscena” organizzata da Usa, Francia e Gran Bretagna per giustificare un attacco contro le forze di Assad, le cui conseguenze però “sarebbero imprevedibili”, come ha avvertito la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova.
Zakharova ha spiegato i timori di Mosca anche col fatto che, a suo dire, le forze armate Usa “potrebbero accumulare capacità missilistiche per gli attacchi in Siria in poco più di 24 ore”.
La battaglia a Idlib, dove sono presenti 2 milioni di sfollati secondo le stime dell’Onu, potrebbe riversare un’ondata di centinaia di migliaia di profughi verso il confine turco. L’Onu ha ribadito l’allarme sul rischio di “catastrofe umanitaria” in caso di attacco e ha chiesto l’apertura di un corridoio per far uscire i civili.
L’inviato speciale dell’Onu, Staffan de Mistura, si è detto pronto a volare a Idlib per facilitare l’uscita dei civili prima di un eventuale attacco, in cui c’è il rischio dell’utilizzo di armi chimiche da entrambi i lati.
La Russia aveva rafforzato la sua presenza navale nel Mediterraneo con grandi manovre che partiranno sabato 1 settembre, e ha messo in guardia gli Stati Uniti dall’intervenire con il pretesto di punire gli attacchi chimici.
Il ministero della Difesa russo ha annunciato che, dal primo all’8 settembre, 25 navi e una trentina di aerei saranno coinvolti in una maxi-esercitazione nel Mediterraneo, la più grande esibizione di muscoli da parte di Mosca dall’inizio dell’intervento nel conflitto siriano nel settembre 2015. Il Cremlino ha spiegato che aumentare le precauzioni in Siria “è pienamente giustificato e fondato”, in quanto la situazione nel paese “ha un notevole potenziale di peggioramento”.
Il portavoce della presidenza russa, Dmitri Peskov, è stato chiaro: “La situazione attorno a Idlib lascia molto a desiderare; il covo di terroristi che si sta formando lì, non promette nulla di buono, se si continua a non agire”.
Anche la Turchia ha rafforzato la presenza militare nella zona con l’invio di altri uomini e blindati anche se non è chiaro quale sarà il ruolo di Ankara nell’operazione militare.
L’escalation sul campo lascia pensare che l’offensiva a Idlib sarà lanciata senza aspettare il trilaterale tra i capi di Stato dei grandi attori regionali della crisi siriana: Russia, Iran e Turchia.
Vladimir Putin, Hassan Rouhani e Recep Tayyip Erdogan hanno in programma di vedersi a Tabriz il 7 settembre.
Attualmente sono i jihadisti di Hayat Tahrir al Sham, gruppo nato dalla fusione di diverse sigle islamiste e costola di al Qaeda, a controllare il 60 per cento del territorio di Idlib, mentre la gran parte del restante 40 per cento è in mano agli uomini del Fronte di liberazione nazionale, un gruppo sostenuto dalla Turchia.