Siria: oltre 30 morti negli scontri tra le forze curde e le milizie filo-turche nella regione di Manbij
Almeno 31 combattenti sono rimasti uccisi negli scontri in corso nel nord della Siria tra le milizie appoggiate dalla Turchia e le Forze democratiche siriane (Sdf), sostenute dagli Stati Uniti. La denuncia arriva dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, una ong con sede a Londra, secondo cui almeno sette vittime, tutti miliziani filo-turchi, sono state registrate soltanto oggi, lunedì 30 dicembre, durante i violenti combattimenti tuttora in corso nella regione di Manbij.
Alla fine di novembre le fazioni filo-turche riunite sotto il vessillo del sedicente Esercito nazionale siriano avevano lanciato un’offensiva contro le Forze democratiche siriane (Sdf) nello stesso periodo in cui cominciava la folgorante marcia su Damasco, durata solo 11 giorni, lanciata da una coalizione ribelle dominata dal gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Shaam, che ha rovesciato il regime ultra-cinquantennale degli Assad.
Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, gli scontri sono ripresi quando un commando delle Sdf ha provato a “infiltrarsi” nei quartieri orientali di Manbij, la città riconquistata a inizio dicembre dalle forze appoggiate da Ankara, “causando la morte di quattro miliziani delle fazioni sostenute dalla Turchia e il ferimento di altri quattro”. Al contempo, secondo l’ong con sede a Londra, i gruppi filo-turchi hanno provato ad attaccare il villaggio di al-Saidiyeen, vicino alla diga di Teshrin, nella provincia di Aleppo, provocando la reazione dell’artiglieria delle Sdf, che ha ucciso almeno altri tre miliziani filo-turchi.
Altri sei combattenti filo-Ankara e tre membri dei gruppi curdi erano rimasti uccisi ieri nello stesso settore di combattimento, mentre 13 miliziani delle fazioni filo-turche e due soldati delle Forze democratiche siriane erano stati uccisi nelle stesse ore negli “aspri combattimenti” scoppiati nella provincia di Aleppo, dove oggi le Sdf hanno annunciato la distruzione di “due radar, di un sistema di disturbo delle frequenze e di un carro armato dell’occupante turco”.
Ankara è in prima linea da anni contro le Forze democratiche siriane, appoggiate dagli Stati Uniti e dall’Europa nella lotta contro il sedicente Stato Islamico (Isis). La spina dorsale delle Sdf infatti è composta dalle Unità di protezione del popolo curdo (Ypg), ritenuto dal governo turco nient’altro che il braccio siriano del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), considerato un’organizzazione terroristica non solo dalla Turchia ma anche da Usa e Unione europea.
Soltanto ieri però, in un’intervista all’emittente saudita al-Arabiya, il capo del gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Shaam e leader de facto della nuova amministrazione in Siria, Ahmed al-Sharah, aveva ribadito la necessità di integrare tutti i gruppi armati di opposizione al regime, comprese le Sdf, nel futuro esercito del Paese. “Le armi devono restare solo nelle mani dello Stato”, ha detto l’ex esponente di al-Qaeda, conosciuto anche come Abu Mohammad al-Jolani. “Chiunque sia armato e abbia le capacità per entrare a far parte del ministero della Difesa sarà il benvenuto”, ha aggiunto, assicurando che è a “queste condizioni e con questi criteri” che si condurranno i “negoziati” con le Sdf, “nella speranza di trovare una soluzione adeguata”. In precedenza, il comandante delle Forze democratiche siriane, Mazlum Abdi, aveva già sottolineato la disponibilità del gruppo a integrarsi nel nuovo esercito siriano.