I siriani restano intrappolati nella guerra mentre il mondo si volta dall’altra parte
Guerra Siria– L’avanzata delle forze di Bashar al-Assad sostenute dalla Russia sembra trovarsi in una situazione di stallo. Dalla fine di aprile l’esercito governativo siriano ha lanciato un’offensiva aerea sulla provincia di Idlib, nel nord ovest della Siria, ultima roccaforte delle forze che si oppongono ad Assad. Nell’area da oltre due mesi si susseguono ininterrottamente attacchi aerei che hanno già provocato centinaia di morti e migliaia di sfollati.
Guerra Siria news | Le vittime degli attacchi
Secondo l’Unicef il 6 luglio sono stati uccisi sei bambini nel villaggio di Mhambel, nella periferia di Idlib, e altri 20 civili sono morti nell’attacco aereo condotto dalle forze governative lo stesso giorno.
A seguito di ulteriori raid aerei delle forze governative e russe, fonti mediche hanno documentato tra l’11 e il 12 luglio 15 vittime civili, tra cui donne e bambini, colpiti nei distretti di Maarrat an Numan, Ariha e Kfar Zita, a sud del capoluogo di Idlib. I feriti sono stati almeno 45.
“Questo oltraggio è solo l’ultimo di una lunga serie di violenze avvenute nelle ultime settimane” riferisce la direttrice di Unicef Henrietta Fore in un comunicato rilasciato domenica 7 luglio.
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“Il chiaro disprezzo per la sicurezza e il benessere dei bambini evidente in questi attacchi, è spaventoso – prosegue Fore – Il mio cuore si spezza per le giovani vite perse e per tutti i bambini della zona che rimangono in pericolo. Esorto con forza e inequivocabilmente le parti in conflitto e coloro che hanno influenza su di loro a garantire che i bambini nel nord ovest e in tutto il paese siano protetti dalle continue violenze”.
Sempre secondo i dati delle Nazioni Unite, quasi 300 civili sono morti e oltre 300mila risultano sfollati dall’inizio dell’escalation di attacchi nella provincia. Tra questi oltre 130 sono bambini. L’intero conflitto siriano ha invece già provocato oltre 3 milioni di profughi.
“Troppi sono già morti. Esistono leggi anche durante la guerra. Idlib sta vivendo un incubo, si tratta della peggior catastrofe umanitaria dell’ultimo secolo”, avvertono le Nazioni Unite in una nota del 27 giugno con cui è stato lanciato l’hashtag “#TheWorldIsWatching”, letteralmente “il mondo sta guardando”.
Al momento le Nazioni Unite non sono però riuscite a trovare una soluzione diplomatica duratura. Ad inizio agosto ci saranno alcuni colloqui tra Turchia, Russia e Iran riguardo al conflitto siriano, ma per adesso la situazione rimane bloccata.
La scorsa settimana Ankara ha ricevuto le prime parti del sistema di difesa russo S-400, che la Nato non vuole sia usato da un membro dell’Alleanza Atlantica. Gli Usa, infatti, sono contrari al fatto che la Turchia disponga di questo sistema di difesa e hanno minacciato sanzioni. La fornitura di missili russi è arrivata con alcuni mesi di anticipo rispetto al termine originario del 2020. Questo ha suscitato dubbi anche sul ruolo di Ankara all’interno del conflitto siriano.
“Sebbene le forze di entrambe le parti stiano discutendo su quello che sta succedendo a Idlib e soprattutto sulla posizione della Turchia all’interno del conflitto, nessuno è pronto a intraprendere un’azione decisiva che possa rompere lo status quo” riferisce Alexey Khlebnikov, esperto di Medio Oriente per il Consiglio degli affari internazionali russi.
“La domanda adesso è – prosegue – per quanto tempo la Russia manterrà la pazienza nel conflitto a Idlib, quanto la Turchia può spingersi contro gli interessi statunitensi in Siria, e qual è il piano di Washington per la Siria?”.
Charles Lister, membro del Middle East Institute, ritiene che i recenti eventi nella provincia di Idlib non facciano che dimostrare la debolezza del regime siriano e la sua incapacità di mantenere il controllo e aggiunge che le dichiarazioni di vittoria di Assad sono ancora premature: “Il regime di Assad non ha vinto niente, è solo sopravvissuto, pagando con il sangue dei siriani e il terrore ma non è stata ottenuta per il momento alcuna stabilità”.
Trump, riferisce il Washington Post, in un articolo del 15 luglio, “sembra aver perso interesse nel conflitto siriano ed ha aperto invece una nuova tensione diretta con l’Iran. (…)”. Mentre si stenta a trovare una soluzione e nessuno sembra pronto a sbloccare la situazione – prosegue il quotidiano statunitense – “il regime ha chiesto ai tanti siriani in fuga nella vicina Turchia, in Libano e in Giordania, di tornare a casa. Ma in pochi sono tornati perché temono di essere rinchiusi nelle prigioni del regime o di essere ricattati dalle milizie di Assad”.
Alcuni siriani sono rimasti “intrappolati” in Siria, passando da un rifugio all’altro, altri sono invece ancora intrappolati nei paesi in cui hanno deciso di fuggire e non rientreranno fin quando la situazione non si sarà risolta.
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A metà aprile nella provincia di Idlib, nel nord ovest della Siria, è iniziata un’offensiva da parte delle forze russo-siriane contro i ribelli che si oppongono al presidente siriano Bashar al Assad e i militanti dell’Isis.
Dal 15 settembre 2018 vige una situazione di stallo nella regione, da quando la Russia – alleato di Assad – e la Turchia hanno firmato un accordo per la creazione di una de-escalation zone di 15-20 chilometri intorno alla provincia.
La tregua però è stata infranta più volte e ora i raid delle forze governative e russe nella zona sud della provincia si sono fortemente intensificati. I combattimenti e le vittime civili sono all’ordine del giorno.
La provincia è controllata da gruppi eterogenei, che vanno dai ribelli anti-Assad, che hanno preso le armi contro il governo fin dall’inizio della rivolta, fino ai jihadisti di Hay’et Tahrir al-Sham (HTS) appoggiati – indirettamente – da Ankara. La parte interna è pattugliata dalle forze turche, quella esterna dai militari russi.
La riconquista di Idlib è fondamentale per il governo di Assad: il presidente potrebbe in questo modo riprendere il controllo di un territorio al confine con la Turchia in cui hanno trovato rifugio moltissimi oppositori ribelli e militanti dell’Isis. La zona risulta strategica anche per la vicinanza con la base militare russa di Latakia.
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