Siria: Bashar al-Assad fugge all’estero mentre ribelli e jihadisti conquistano la capitale Damasco
La coalizione guidata dal gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham annuncia la caduta del regime
Bashar al-Assad ha lasciato la Siria e i ribelli della coalizione “Command of Military Operations” (CMO), un coordinamento di varie milizie guidato dal gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham, sono arrivati nella capitale Damasco, tanto che il premier del regime Mohammad al-Jalali ha aperto a un “pacifico passaggio di potere”.
L’annuncio di Trump e il quadro geopolitico globale
La fuga del dittatore siriano è stata annunciata sui social dal presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, che l’ha legata al quadro geopolitico delle guerre in corso in Ucraina e Medio Oriente. “Assad se n’è andato. È fuggito dal suo Paese. Il suo protettore, la Russia guidata da Vladimir Putin, non era più interessato a proteggerlo (…)”, ha scritto il magnate newyorkese su Truth.
“Russia e Iran sono in uno stato di debolezza in questo momento, l’una a causa dell’Ucraina e di una cattiva economia, l’altro a causa di Israele e del suo successo in combattimento. Allo stesso modo, Zelensky e l’Ucraina vorrebbero fare un accordo (…). Dovrebbe esserci un cessate il fuoco immediato e dovrebbero iniziare i negoziati. Troppe vite vengono sprecate inutilmente, troppe famiglie distrutte e se continua così, può trasformarsi in qualcosa di molto più grande e molto peggio. Conosco bene Vladimir. Questo è il suo momento di agire. La Cina può aiutare. Il mondo sta aspettando!”.
L’avanzata dei ribelli
In poco più di dieci giorni, e con sorpresa di tutti, i ribelli guidati dall’ex membro del sedicente Stato islamico e attuale leader di Hayat Tahrir al-Sham, Ahmed Hussein al-Shar’a, nome di battaglia Abu Mohammad al-Jolani, hanno conquistato le principali città della Siria e rovesciato Bashar al-Assad. Nella notte, il gruppo aveva conquistato la città di Homs, liberando 3.500 detenuti nelle carceri della città e aprendosi la strada per circondare la capitale, dopo i successi militari ottenuti dall’opposizione anche nel sud del Paese arabo.
Intanto, l’Iran aveva cominciato a smobilitare il suo personale e persino il gruppo armato sciita libanese Hezbollah, altro storico alleato del regime, che in precedenza aveva annunciato l’invio di 2.000 combattenti a sostegno di Assad, aveva ritirato le sue forze dalla periferia di Damasco e dall’ovest della Siria, chiedendo ai propri miliziani di dirigersi verso Latakia, sulla costa mediterranea, o verso la regione di Hermel, in Libano.
In seguito, anche l’esercito e le forze di sicurezza del regime siriano avevano abbandonato l’aeroporto della capitale di fronte all’avanzata delle forze ribelli, che hanno poi annunciato la presa del famigerato carcere di Sednaya, dove Damasco imprigionava e torturava gli oppositori politici, diventato il simbolo dei peggiori abusi delle forze degli Assad.
“Fine della tirannia nel carcere di Sednaya”, aveva annunciato nella notte su Telegram il gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham. “Le porte del carcere di Sednaya, conosciuto come il ‘mattatoio umano’, sono state aperte per migliaia di detenuti”, aveva quindi confermato l’Osservatorio siriano per i diritti umani. È a questo punto che, secondo il direttore dell’ong, Bashar al-Assad ha lasciato la Siria, partendo dall’aeroporto di Damasco, prima del ritiro delle sue forze armate e di sicurezza”.
Il passaggio dei poteri
Così, con un video pubblicato su Facebook, il primo ministro del regime siriano Mohammad al-Jalali si è detto pronto a collaborare con qualsiasi nuova “leadership” scelta dal popolo, precisando che oggi resterà nei propri uffici presso la sede del governo a Damasco per l’eventuale “pacifico passaggio” dei poteri. “Questo Paese può essere un Paese normale, che sta costruendo buone relazioni con i suoi vicini e con il mondo (…) ma questa questione sarà responsabilità di qualunque leadership il popolo siriano sceglierà, e noi siamo pronti a collaborare e a fornire loro tutte le strutture possibili”, ha dichiarato al-Jalali.
Da parte sua però, il leader di Hayat Tahrir al-Sham, Abu Mohammad al-Jolani, ha invitato i suoi combattenti a non avvicinarsi alle sedi delle istituzioni della capitale, tuttora sotto il controllo del regime, fino al “passaggio di consegne ufficiale”. Jolani e al-Jalali, secondo quanto rivelato all’emittente al-Arabiya dal ministro delle Telecomunicazioni del regime, Iyad Mohammad al-Khatib, hanno già avuto un colloquio telefonico in merito.
“Le istituzioni statali siriane saranno supervisionate dall’ex primo ministro siriano Mohammad Jalali, fino al passaggio legale dei poteri”, ha scritto il leader di Hayat Tahrir al-Sham, Jolani, in un comunicato diramato su Telegram e firmato con il suo vero nome, Ahmed Hussein al-Shar’a, che vieta alle forze ribelli a Damasco di avvicinarsi agli edifici pubblici e di sparare colpi in aria allo scopo di garantire una “transizione ordinata” dopo la fine della guerra. Un video pubblicato in seguito dal gruppo jihadista mostra una scorta armata dei ribelli accompagnare al-Jalali fuori dal suo ufficio in direzione del hotel Four Seasons della capitale. I ribelli, secondo l’agenzia di stampa Reuters, hanno annunciato un coprifuoco in città dalle 16:00 ora locale (le 14:00 in Italia) fino alle 5:00 di domani mattina.
In mattinata, un gruppo di nove rappresentanti della coalizione ribelle era invece apparso alla televisione pubblica siriana annunciando la caduta del “tiranno” Bashar al-Assad, affermando di aver rilasciato tutti i prigionieri detenuti “ingiustamente” e invitando i cittadini e i combattenti a preservare le proprietà dello Stato. Uno dei presenti ha letto un comunicato attribuito alla “cellula operativa per la liberazione di Damasco”, in cui annunciava “la liberazione della città di Damasco, la caduta del tiranno Bashar al-Assad e il rilascio di tutti i prigionieri ingiustamente detenuti nelle carceri del regime”.
Anche Mazloum Abdi, comandante generale delle Forze Democratiche Siriane (SDF) appoggiate dagli Stati Uniti, che controllano il nord-est del Paese, ha parlato di un “momento storico”. “Questo cambiamento è un’opportunità per costruire una nuova Siria basata sulla democrazia e sulla giustizia che garantisca i diritti di tutti i siriani”, ha scritto Abdi su X.
Tra gioia e realtà
A partire da ieri sera, l’annunciata caduta del dittatore ha provocato manifestazioni di giubilo da parte della popolazione locale e non solo. Prima nelle città liberate e poi nella capitale Damasco, dove alcune persone hanno calpestato una statua di Hafez al-Assad, padre del presidente Bashar. Anche in Libano centinaia di persone hanno festeggiato, in particolare nelle città settentrionali di Tripoli e Akkar e in quella meridionale di Sidone, l’annuncio della presa di Homs e della capitale siriana.
Al momento non è chiaro dove si trovi l’ormai ex dittatore. Durante una conferenza stampa a margine del vertice sulla sicurezza in corso a Manama, in Bahrein, il consigliere diplomatico del presidente degli Emirati Arabi Uniti, Anwar Gargash, ha detto di non sapere se Assad si trovi negli Emirati o meno. “Non lo so”, ha risposto Gargash ai giornalisti, quando gli è stato chiesto del destino del deposto presidente siriano. Secondo il diplomatico però, Assad non ha sfruttato la “ancora di salvezza” offertagli da diversi Paesi arabi. “La Siria non è ancora fuori pericolo”, ha però precisato. “L’estremismo e il terrorismo rimangono una delle principali preoccupazioni”.
La situazione sul campo resta infatti piuttosto confusa. L’ambasciata siriana a Doha ha pubblicato una nota sui social affermando che “l’alba della libertà è spuntata e la Siria è stata liberata dalla morsa della tirannia”, mentre la bandiera dell’opposizione è comparsa presso la rappresentanza diplomatica di Damasco ad Atene. Al contempo però l’esercito del regime ha fatto sapere che le sue forze stanno continuando le operazioni militari contro “gruppi terroristici” nelle campagne di Hama, Homs e Daraa. Intanto il Syrian National Army, un gruppo armato ribelle appoggiato dalla Turchia, che controlla una parte della Siria settentrionale, ha attaccato il territorio di Manbij, nel nord del Paese, controllato dalle forze curde. La pace dunque non sembra vicina.
Le conseguenze e le reazioni internazionali
La caduta del regime siriano ha provocato diversi effetti a livello internazionale e sul campo. L’Iraq, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa ufficiale Ina, ha evacuato la propria ambasciata a Damasco e trasferito il suo personale in Libano, senza rendere pubbliche le ragioni del provvedimento. Secondo il canale in lingua inglese della tv pubblica iraniana Press TV, i ribelli presenti nella capitale hanno preso d’assalto la rappresentanza diplomatica di Teheran in città.
Al contempo, secondo l’agenzia di stampa russa Tass, l’ambasciata del Cremlino in Siria ha fatto sapere che il suo personale è “al sicuro”. “Stiamo bene”, ha detto a Tass un membro dello staff della rappresentanza diplomatica russa, senza fornire dettagli su dove si trovino i funzionari di Mosca di stanza a Damasco. Intanto, la Cina ha espresso la speranza che la Siria “torni alla stabilità il più presto possibile”. “Il governo ha aiutato i suoi cittadini a lasciare la Siria”, si legge in una nota diramata oggi dal ministero degli Esteri di Pechino. “La Siria deve garantire la sicurezza delle istituzioni e del personale cinese e che l’ambasciata cinese in Siria continui a operare”.
Anche gli Stati Uniti manterranno il proprio personale sul campo. “Continueremo a mantenere la nostra presenza nella Siria orientale e ad adottare le misure necessarie per prevenire una rinascita dello Stato islamico (Isis, ndr)”, ha fatto sapere in conferenza stampa il vice segretario aggiunto alla Difesa per il Medio Oriente, Daniel Shapiro, dal vertice di sicurezza in corso a Manama, in Bahrein, invitando “tutte le parti a proteggere i civili, soprattutto le minoranze, e a rispettare il diritto internazionale”.
La Turchia invece ha chiesto una transizione graduale. “Dobbiamo lavorare molto duramente con il popolo siriano, non solo la Turchia, ma anche gli altri attori regionali e internazionali, per garantire che il periodo di transizione proceda bene e senza intoppi e che i civili non subiscano più attacchi”, ha sottolineato il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan prima del Forum di Doha organizzato in Qatar.
Da parte sua esulta il governo della Francia, ex potenza coloniale in Siria. Parigi, ha fatto sapere in una nota il portavoce del ministero degli Esteri transalpino, Christophe Lemoine, “si compiace della caduta del regime di Bashar al-Assad” dopo “più di 13 anni di repressione estremamente violenta contro il suo stesso popolo”. La Francia, ha aggiunto, “invita tutti i siriani a unirsi, riconciliarsi e a respingere ogni forma di estremismo” e chiede “la fine dei combattimenti, il mantenimento delle istituzioni e il rispetto della sovranità territoriale” della Siria.