Guerra ai curdi in Siria, Diario dal Rojava: cosa è successo oggi, cronaca dell’offensiva turca
In mattinata il morale era alto: la resistenza delle Forze Democratiche Siriane (FDS) avevano respinto gli attacchi a Serekanye e Tal Abyad, sul confine con la Turchia. Con il susseguirsi delle ore, invece, la giornata si è trasformata in un incubo per il Nord Est della Siria. Il quinto giorno dell’operazione “sorgente di pace” vede decine di morti, tra cui un giornalista straniero, almeno due ospedali colpiti dalla Turchia, crimini di guerra, e una serie di dichiarazioni contraddittorie da parte dell’amministrazione Trump. Sono almeno 130mila le persone sfollate. E in serata si sparge la notizia: le FDS hanno fatto un accordo con il regime di Assad e la Russia per le città di Manbij e Kobane, luogo simbolo della resistenza allo Stato Islamico.
Intorno alle 11 ora locale, un attacco coordinato ad Ain Issa, a una cinquantina di chilometri dal confine, crea il panico. Un gruppo di uomini armati attacca il campo profughi alle porte della città e libera quasi 800 donne straniere affiliate allo Stato Islamico. Scappano nel deserto, con loro i bambini, erano mesi che aspettavano questo momento. “Ci libereranno”, mi ha detto a giugno una donna americana che si spacciava sudanese per non essere rimpatriata. “E noi ci vendicheremo. Poi metteremo la testa di tutti questi infedeli sui pali (rivolgendosi alle guardie che presidiavano il campo, ndr)”. Sono scattate rivolte nelle prigioni, la tensione è altissima.
Alle 16 un convoglio di civili e giornalisti viene colpito a Serekanye. Erano andati in città, non lontano dal fronte. La scena è apocalittica. Corpi a terra, sangue, fumo, morti e decine i feriti. L’attacco è stato filmato da un giornalista e le immagini circolano sui social media. Tra i morti ci sono anche due giornalisti: Seed Ehmed, dell’agenzia di stampa Anha, e uno straniero di cui non si conosce ancora l’identità. Feriti anche due giornalisti francesi. Tutte le vittime vengono smistate negli ospedali di Serekanye e della vicina Til Tamer, entrambi nelle ore successive vengono colpiti dall’aviazione e da colpi di mortaio.
Un gruppo di cellule dormienti dello Stato Islamico viene arrestato nei pressi di Hasakah, mentre un altro colpisce la base di Shaddadi dove sono di stanza i soldati americani. Proprio in quei momenti Mark Esper, segretario della Difesa a Washington annuncia il ritiro di circa 1.000 soldati delle forze speciali. Annuncio smentito dopo poche ore dalla stessa Casa Bianca.
I soldati a Stelle e Strisce avevano già abbandonato le loro postazioni a Kobane. E in quel momento è chiaro che la città è il nuovo obiettivo dell’operazione turca. In migliaia si danno alla fuga. “La città è vuota”, mi spiega al telefono il giornalista della North Press Agency Roj Mousa. A questo punto, le FDS non hanno altra scelta che negoziare con la Russia e il regime di Assad. Da soli non ce la fanno a proteggere tutto il territorio, quasi un terzo della Siria. Devono abbandonare Raqqa, e chiedere aiuto per proteggere Kobane. Meglio Assad che i turchi. Così nelle ore successive i mezzi dell’esercito siriano si sono spostati a Manbij e quindi Kobane. È attesa nella notte una nuova offensiva. La giornata sembra non finire mai.