La caduta del regime non basta, dopo 14 anni di guerra la Siria è allo stremo. L’appello dell’Unhcr su TPI: “Non lasciamo svanire la speranza”

“Sfollati e rimpatriati hanno bisogno davvero di tutto: cibo, case e beni di prima necessità”, spiega a TPI da Damasco Roberta Montevecchi, assistant representative dell’Unhcr. “Il taglio dei fondi di Trump ci ha colpiti ma ora cerchiamo nuove fonti di finanziamento perché i bisogni sono enormi"
La caduta del regime ultra-cinquantennale degli Assad, un nuovo governo a Damasco, il ritorno di oltre 370mila rifugiati dall’estero, il rientro di più di 885mila sfollati interni nelle rispettive comunità ma anche gli scontri tra le diverse fazioni armate, i massacri ai danni delle minoranze, le ingerenze della vicina Turchia, i continui raid aerei e l’occupazione di una parte del territorio da parte di Israele e il taglio dei fondi Usa alla cooperazione internazionale da parte dell’amministrazione di Donald Trump. Dopo quasi 14 anni di guerra, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), la Siria resta “un Paese collassato dal punto di vista economico e sociale”, con “più di 16 milioni” di persone che “hanno ancora bisogno di aiuti urgenti”, almeno “1,5 milioni” che per effetto dei tagli di Trump “resteranno senza beni di prima necessità” e “75mila, tra i più vulnerabili, senza alloggio”.
Motivo per cui l’Unhcr ha lanciato un appello urgente di raccolta fondi a sostegno del popolo siriano. “Dopo anni vissuti lontani dalle loro case, tante famiglie stanno tornando con determinazione e coraggio”, afferma Laura Iucci, direttrice della raccolta fondi di Unhcr Italia. “Ma le difficoltà restano enormi, la crisi non è finita: mancano le case, le scuole, gli ospedali, l’elettricità, il cibo e l’acqua potabile. Stiamo lavorando senza sosta nel Paese, le priorità sono riparare le tante abitazioni danneggiate e ripristinare le infrastrutture dei servizi di base, ma le risorse non sono sufficienti. Senza un sostegno adeguato, milioni di rifugiati e sfollati siriani potrebbero veder sfumare il loro sogno di un futuro migliore. Non possiamo lasciare che questa speranza svanisca. Per questo lanciamo un appello alla generosità di tutti: non lasciamo soli i siriani in questo momento cruciale, basta anche un piccolo aiuto per fare la differenza”. Ma per approfondire la situazione TPI ha contattato direttamente a Damasco Roberta Montevecchi, Assistant Representative dell’Unhcr in Siria.
Qual è la situazione sul campo dopo 14 anni di guerra?
“Il Paese è collassato dal punto di vista economico e sociale. La Siria ha bisogno di enormi investimenti e la popolazione necessita di un forte supporto umanitario”.
Dalla caduta del regime di Bashar al-Assad, secondo l’Unhcr, almeno 370mila rifugiati sono tornati volontariamente a casa: che Paese hanno trovato?
“La situazione che trovano le persone che hanno deciso di ritornare dipende molto dalle zone: in alcune l’economia si sta riprendendo un po’ di più, in altre manca ancora tutto. Ci sono anche alcune aree completamente rase al suolo, sia le infrastrutture che le case. In queste zone è necessario assicurare alle persone che ritornano almeno un posto dignitoso e sicuro dove vivere e successivamente ristabilire tutto il sistema dei servizi pubblici essenziali”.
Di cosa hanno bisogno gli sfollati e i rimpatriati?
“Hanno bisogno davvero di tutto: di cibo, di case e della riparazione di quelle distrutte, rimaste senza porte e finestre, ma anche di altri beni di prima necessità, come coperte, utensili, materassi”.
Come sta incidendo il taglio dei fondi alla cooperazione internazionale deciso dalla nuova amministrazione statunitense di Donald Trump sull’assistenza in Siria?
“Il taglio dei fondi alla cooperazione internazionale deciso dall’amministrazione statunitense sta influendo molto. Gli Stati Uniti sono stati il Paese che ha dato circa la metà del necessario supporto finanziario per l’operazione in Siria negli ultimi anni, quindi ovviamente c’è un impatto importante. Ma va detto che, seppur limitato ad alcuni settori specifici, il supporto dell’amministrazione statunitense è rimasto e l’assistenza in Siria non è completamente cancellata. Tutto questo ovviamente in un contesto globale in cui abbiamo molti meno fondi per gli aiuti”.
Come si sta organizzando l’Unhcr?
“Sta cercando di trovare nuove fonti di finanziamento perché i bisogni sono enormi. Il problema riguarda non solo noi ma anche tutte le altre agenzie e le ong, in Siria e a livello globale. Ovviamente noi stiamo cercando di dare ugualmente delle risposte umanitarie e di essere ulteriormente efficienti”.
In che modo?
“Ora ogni sforzo è fatto per cercare di trovare altre fonti di finanziamento e allo stesso tempo sono necessarie massima austerità e prioritarizzazione, non c’è altra via”.
A meno di tre mesi dalla caduta del regime di Bashar al-Assad, l’Unione europea ha sospeso le sanzioni economiche contro la Siria. Che effetto ha avuto questa decisione, se c’è stato, sulla vita quotidiana dei siriani e in particolare degli sfollati?
“L’Unione europea è un possibile importante player per la Siria. Probabilmente gli effetti della sospensione delle sanzioni economiche Ue saranno visibili tra qualche mese, ma per il momento non c’è ancora un impatto sulla vita quotidiana dei siriani e degli sfollati”.
Che può fare l’Italia per aiutare la popolazione siriana e l’Unhcr?
“Unhcr è molto grato alle istituzioni italiane che hanno raddoppiato il supporto dato alla Siria e sono state pionieristiche in un modello di assistenza che si chiama ‘Area Based Return Support’, ovvero iniziative che, anziché focalizzarsi su una popolazione, si concentrano sull’assistenza nelle aree di ritorno. In particolare gli italiani sono stati i primi a investire in questo modello, nel quale varie agenzie lavorano insieme. Laddove sono state distrutte case, scuole, centri di assistenza sanitari oppure attività produttive, agricole, ecc., i progetti vengono fatti in maniera tale da dare una risposta e un supporto basato sulle necessità specifiche di quell’area”.
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La ricostruzione della Siria promette centinaia di miliardi di dollari di affari. Una torta che tanti attori regionali e non solo sono pronti a spartirsi. Quali sono le priorità da seguire per la popolazione locale e in particolare per gli sfollati e i rimpatriati?
“Chiaramente ci auguriamo che avvenga una ricostruzione della Siria e che sia attenta alle necessità della popolazione locale, inclusi chiaramente gli sfollati interni e i rifugiati rimpatriati. Le necessità sono molto chiare: serve la ricostruzione di case, villaggi, città, va ricreato un ambiente dove l’essere umano può ricominciare a vivere, dove tutti possano avere non solo un alloggio ma anche che vi siano attività economiche e servizi pubblici basilari, quello sanitario in primis e quello educativo, solo per parlare delle cose principali. Poi ovviamente c’è il welfare, ma anche tutto il sistema elettrico va ricostruito. È un Paese che ha bisogno di investimenti e di ricostruzione per ridare un minimo di ambiente vivibile a una popolazione locale stremata non solo da un punto di vista socio-economico, ma anche a livello mentale, perché il livello di traumi che la popolazione si porta dietro sono difficilmente immaginabili, ma chiaramente visibili, anche fra i nostri colleghi siriani”.