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Shahed 136: ecco come funzionano i droni usati dall’Iran per attaccare Israele

Immagine di copertina
Credit: Idmental/Creative Commons

Possono volare per 2.500 chilometri a una velocità massima di 185 km/h. Trasportano 40 chili di esplosivo. Ma non sono teleguidati e offrono la massima efficacia nel corto raggio

Missili da crociera, missili balistici e centinaia di droni. Queste le armi usate dall’Iran per attaccare Israele lo scorso 14 aprile. Tutte, o quasi, le minacce sono state neutralizzate. In particolare i “famosi” droni. Gli Shahed 136, di produzione iraniana e noti per il loro utilizzo anche in altri teatri di guerra. In particolare in Ucraina.

L’Iran possiede “uno dei più grossi arsenali di droni e missili di tutto il Medio Oriente”, ha detto al New York Times l’esperto Afshon Ostovar, e più in generale uno dei più grandi eserciti della regione. Le armi con cui ha attaccato Israele sono inoltre molto più sofisticate e precise di quelle utilizzate negli ultimi mesi da Hamas e altri gruppi in guerra contro Israele.

Sofisticati ma non troppo
Armi con una tecnologia molto evoluta ma con anche dei “difetti” evidenti. L’HESA Shahed 136 (che in Iran alcuni chiamano “testimone” o “martire”) è – in gergo tecnico – definita una munizione circuitante (un tipo di arma noto anche come “drone suicida”) progettata dall’azienda aeronautica iraniana Shahed e costruita dalla Iran Aircraft Manufacturing Industries Corporation (HESA).

L’arma è in uso dal 2021 ed è stata progettata per colpire bersagli a terra, eludendo le difese aeree, in un raggio di circa 2.500 chilometri dal sito di lancio. Si ritiene che gli Shahed 136 siano stati schierati per la prima volta in un teatro di guerra nelle aree dello Yemen controllate dagli Houthi, tuttavia il loro impiego più massiccio è stato quello effettuato dalle forze terrestri russe durante l’invasione dell’Ucraina, ancora in corso.

Ma come sono fatti questi droni kamikaze? Le ali dello Shahed 136 hanno una forma a delta, alla cui estremità sono presenti due alette endplate necessarie per migliorare l’efficienza aerodinamica. La fusoliera centrale nella sua parte posteriore, ospita il motore e l’elica a due pale; nella parte anteriore sono invece presenti la testata che contiene l’esplosivo e l’ottica necessaria a portare un attacco quanto più preciso possibile. In tutto, il velivolo è lungo circa 3,5 metri, mentre la sua apertura alare arriva a 2,5 metri nella parte posteriore. Il peso dell’arma è di circa 200 chilogrammi, di cui 40 costituiti dall’esplosivo trasportato.

Come detto, lo Shahed 136 è in grado di volare per 2500 chilometri a una velocità massima di 185 chilometri orari. Non sono quindi proprio velocissimi. Motivo per cui per Israele è risultato “semplice” abbatterli tutti quando erano ancora lontani dai loro obiettivi.

Questi droni non sono teleguidati. Per raggiungere le loro destinazioni usano delle coordinate GPS che vengono introdotte prima del lancio. Una volta in volo si limitano a raggiungere la destinazione volando a bassa quota. Se il loro obiettivo è vicino alla zona di lancio, possono risultare molto utili e distruttivi. Se invece devono volare a lungo, la loro efficacia può diminuire considerando che le difese aeree nemiche hanno più tempo per individuarli e abbatterli. 

Gli Shahed 136 sono lanciati con un’inclinazione iniziale di pochi gradi rispetto al suolo e il decollo avviene grazie alla spinta ausiliaria fornita da piccoli razzi che vengono sganciati immediatamente dopo il lancio, lasciando come unico componente di spinta il motore due tempi e a quattro cilindri MD-550 da 37 kW, di manifattura cinese o iraniana. 

Grazie alla portabilità della struttura di lancio e alla facilità di assemblaggio del drone, l’intera unità può essere montata sul retro di qualsiasi camion militare o commerciale, consentendo operazioni mobili “mordi e fuggi”. La struttura di lancio, inoltre, è stata realizzata per permettere il decollo in sequenza di fino a 5 velivoli, che possono quindi agire in stormo, aumentando le difficoltà delle contraeree nemiche. Nonostante ciò, la quota di volo estremamente bassa e il caratteristico rumore li rendono facilmente individuabili a occhio nudo, quale bersaglio delle armi leggere convenzionali. Infine il prezzo. Ogni drone ha un costo di circa 20 mila dollari.

 Altri fronti
I droni Shahed 136, stando a quanto riportato dalla rivista americana Newsweek, sarebbero stati utilizzati per la prima volta nel teatro della guerra civile yemenita scoppiata nel 2015. Diverse carcasse dei droni sarebbero infatti state ritrovate alla fine del 2020 nella provincia di al-Jawf, nel nord dello Yemen, un’area del paese controllata dal movimento ribelle degli Houthi, supportati proprio dall’Iran.

Di certo il loro utilizzo è stato documentato nella guerra in corso in Ucraina. La prima testimonianza dell’uso di queste armi da parte delle forze armate russe in territorio ucraino si è avuta il 13 settembre 2022, quando è stata rinvenuta una carcassa di un drone di questo nei pressi di Kupjans’k.

Ma non solo. Secondo l’intelligence britannica questi droni kamikaze sarebbero stati utilizzati, sempre da parte dell’esercito russo, già nel mese di agosto e, nei mesi precedenti. Inoltre fonti dell’intelligence statunitense e funzionari ucraini, hanno più volte affermato che l’Iran ha fornito alla Russia diverse centinaia di droni, tra cui proprio gli Shahed 136. Notizia sempre smentita dai diretti interessati. La Russia, in particolare, ha dichiarato di utilizzare solo velivoli senza pilota di fabbricazione nazionale, e ciò potrebbe riflettere la produzione di questi droni in Russia. Infatti, sebbene si possa presumere che alcune soluzioni tecnologiche dello Shahed 136 siano state incorporate nel Geran-2 (questo il suo nome russo), e nonostante il generale consenso sull’identità tra i due velivoli, è possibile che, al di là della generica somiglianza, i due droni non siano la stessa macchina poiché presentano differenze sostanziali al livello del sistema di guida.

A partire dal mese di settembre 2022, gli Shahed sono stati ripetutamente utilizzati nel corso dell’invasione russa ai danni dell’Ucraina, ne sono esempi gli attacchi su Odessa del 23 settembre 2022 e dei due giorni successivi. Il 5 ottobre successivo è stato testimoniato il primo attacco con droni Shahed 136 nell’oblast’ di Kiev, in particolare sulla città di Bila Cerkva, che si trova a circa 90 chilometri a sud di Kiev. Il 13 ottobre, infine, gli Shahed 136 hanno raggiunto per la prima volta la capitale ucraina. Sin dagli attacchi iniziali, il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha affermato la «collaborazione con il male» messa in atto dall’Iran, riducendo poi, con il continuare degli attacchi, le attività diplomatiche tra l’Ucraina ed il Paese.

Altro teatro di guerra che ha visto l’impiego di questi particolari droni è il Kurdistan iracheno. Secondo diverse testimonianze, nell’ottobre del 2022 il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, un organo militare istituito in Iran dopo la rivoluzione islamica del 1979, ha utilizzato degli Shahed 136 in diversi attacchi portati alle basi dei gruppi separatisti curdi site nel Kurdistan iracheno.

Infine il massivo lancio effettuato dall’Iran contro Israele nella notte tra il 13 e 14 aprile 2024. Secondo Avichay Adraee, portavoce dell’esercito israeliano, sarebbero stati lanciati 170 droni (tutti neutralizzati). Con loro anche 30 missili da crociera e 120 missili balistici. Attacco a cui Israele è riuscita a far fronte.

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