La serial killer giapponese che uccideva i suoi amanti è stata condannata a morte
Ha settant'anni veniva chiamata "la vedova nera". Ha ucciso tre ex partner con il cianuro per ereditarne i patrimoni
La serial killer giapponese Chisako Kakehi, 70 anni, soprannominata “vedova nera”, è stata condannata a morte dalla Corte del Distretto di Tokyo per gli omicidi del marito e di due partner con cui aveva convissuto, e per il tentato omicidio di un conoscente, tutti fatti avvenuti tra il 2007 e il 2013.
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La sentenza è arrivata nonostante la dichiarazione di non colpevolezza da parte dell’avvocato della donna, che sosteneva sia la mancanza di evidenze fisiche per gli omicidi sia l’impossibilità di considerarla responsabile a causa di una demenza precoce mostrata all’epoca dei fatti.
Il giudice che presiedeva il processo, Ayako Nakagawa, ha però dichiarato: “Sono crimini atroci, commessi per avidità di denaro. La sentenza di morte non può essere evitata, anche dopo che si sono presi ampiamente in considerazione la demenza e gli altri fattori.”.
Chisako Kakehi ha ucciso il marito Isao, 75 anni, e i conviventi con cui aveva avuto delle relazioni, Masanori Honda e Minoru Hioki, rispettivamente di 71 e 75 anni, e ha tentato di assassinare Toshiaki Suehiro, un conoscente di quasi 80 anni, somministrando a tutti del cianuro. La donna aveva pianificato tutto in anticipo, addirittura preparando preventivamente le carte per il notaio, ed era riuscita a convincere gli uomini a bere il veleno proponendolo come un cocktail salutare.
La motivazione era di tipo economico: voleva ereditarne i patrimoni per pagare i propri ingenti debiti, contratti dopo il fallimento della fabbrica che aveva avviato con il primo marito, morto nel 1994, e che l’avevano costretta a dichiarare bancarotta, ipotecare la casa e chiedere prestiti ai vicini. Si era tempo dopo iscritta ad agenzie d’incontri, chiedendo specificatamente di voler frequentare uomini facoltosi.
Dopo l’arresto nel 2014 per l’omicidio del marito, alla prima udienza pubblica la donna aveva rilasciato dichiarazioni poco coerenti, dicendo che avrebbe lasciato tutto in mano ai suoi avvocati e poi confessando il primo assassinio. I giudici hanno sottolineato come l’imputata non abbia mostrato segni di pentimento, né si sia scusata. Inoltre non soffriva di demenza al momento dell’ultimo omicidio nel 2013, e il medico che l’aveva visitata l’ha dichiarata legalmente responsabile per gli atti commessi.