Il ministro tedesco Seehofer è nella bufera dopo il suicidio di un migrante espulso
Il ministro dell'Interno aveva scherzato sul fatto che nel giorno del suo 69esimo compleanno erano stati rimpatriati 69 migranti: chieste le dimissioni
Il ministro dell’Interno tedesco, Horst Seehofer, è finito nella bufera dopo il suicidio di un migrante afghano 23enne che era stato espulso dalla Germania.
Il giovane, che si è impiccato a Kabul, era una dei 69 migranti rimpatriati il 4 luglio 2018, giorno del 69esimo compleanno di Seehofer. Il ministro aveva scherzato sul fatto che nel giorno del suo 69esimo compleanno erano state espulse dal paese 69 persone.
Alcuni parlamentari del partito socialdemocratico (Spd) e dell’opposizione hanno chiesto le sue dimissioni, ma il ministro ha respinto le accuse, sottolineando che la responsabilità di quei provvedimenti di espulsione è delle autorità di Amburgo.
Seehofer, che si è detto “dispiaciuto” dell’accaduto, si è rifiutato di commentare la sua osservazione sulla coincidenza tra i rimpatri e il suo compleanno. Alla richiesta di dimissioni il ministro ha risposto: “Non ho niente da dire”.
Gyde Jensen, parlamentare dei liberi democratici e capo della commissione parlamentare per i diritti umani, ha osservato che “chiunque festeggi 69 deportazioni per il suo compleanno è nel posto di lavoro sbagliato”.
Il deputato Kevin Kuehnert, leader dell’ala giovanile dell’Spd, che fa parte della coalizione di governo, ha rilanciato l’ipotesi di una caduta dell’esecutivo. “Le dimissioni sono in ritardo. Ciao coalizione?!?”, ha scritto su Twitter.
L’organizzazione per i diritti dei profughi Pro Asyl ha detto che per 51 dei 69 deportati i voli sono stati prenotati dal governo della Baviera, guidato dall’Unione cristiano-sociale della Baviera (Csu), il partito di Seehofer.
Il migrante afghano suicidatosi, di cui non è stata rivelata l’identità, viveva in Germania da otto anni.
Secondo l’agenzia di stampa tedesca Dpa, le autorità afghane nei giorni scorsi si erano lamentate del fatto che Berlino avesse deportato un così grande gruppo di loro concittadini, in quanto gli accordi prevedono un massimo di 50 persone rimpatriate per ciascun volo.
Dei 69 espulsi, 51 venivano dalla Baviera, terra d’origine di Seehofer.
Il ministro dell’Interno, leader dell’Unione cristiano-sociale della Baviera (Csu), è sostenitore di una linea dura sull’immigrazione che nelle scorse settimane ha rischiato di far cadere il governo tedesco.
La tensione interna all’esecutivo era esplosa dopo l’accordo siglato dalla cancelliera Merkel in occasione del Consiglio europeo di fine giugno.
Al vertice di Bruxelles la Germania aveva ottenuto che nell’intesa finale fosse inserito un punto sul contrasto ai movimenti secondari dei migranti, ossia alla possibilità per i richiedenti asilo di spostarsi da un paese all’altro dell’Unione europea. Ma questo non era bastato a Seehofer, che aveva minacciato di dimettersi.
Il ministro chiedeva da tempo che si potessero respingere i profughi verso i paesi dai quali sono entrati nel territorio comunitario, mentre Merkel era per una via più morbida e rifiutava qualsiasi via unilaterale.
Alla fine è stato raggiunto un accordo che prevede la creazione di centri di transito al confine con l’Austria dai quali sarà possibile rifiutare l’ingresso di richiedenti asilo provenienti da altri paesi dell’Unione europea: i migranti saranno respinti verso i paesi dove sono entrati la prima volta e hanno fatto richiesta.
Secondo alcuni analisti, la linea dura della Csu e di Seehofer è connessa con le elezioni statali bavaresi in programma il prossimo autunno, in cui c’è il rischio di una affermazione del partito xenofobo l’Alternative für Deutschland (Afd).
Alcuni sondaggi, peraltro, riferiscono che in Baviera la cancelliera Merkle raccoglie più consensi di Seehofer.