Se anche gli oligarchi scaricano Putin (di Brooke Harrington)
Gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Unione europea avevano da poco annunciato le sanzioni sulle ricchezze oltreoceano dei russi che gli oligarchi russi avevano già iniziato a lamentarsi e a protestare. Ciò significa che questa strategia – decisa dopo che la Russia ha invaso l’Ucraina – funziona come si voleva che funzionasse: punisce le élite russe per il loro supporto al presidente Vladimir Putin. Lo scorso weekend il conduttore Vladimir Solovyev, dell’emittente televisiva russa di Stato, è esploso in dichiarazioni furibonde a Mosca su quello che le sanzioni implicano per lui: non potersi più recare nelle sue due case di lusso sul Lago di Como, accanto alla villa di George Clooney. Nell’articolato pacchetto di sanzioni economiche che prendono di mira il sistema finanziario russo – e che ha mandato a picco, a record minimi storici, il valore del rublo – le potenze occidentali stanno moltiplicando in maniera significativa gli sforzi per individuare e congelare i beni di proprietà degli alleati di Putin nel mondo degli affari. Alcuni dei più noti oligarchi russi – personaggi che si sono costruiti enormi fortune, perlopiù grazie ai loro rapporti con l’apparato statale – adesso pretendono la fine della guerra.
Già la settimana scorsa i miliardari Oleg Deripaska, industriale, e Mikhail Fridman, fondatore di uno degli istituti di credito privati più grandi in Russia, hanno invocato lo stop alla guerra di Putin. Si tratta di un fenomeno sorprendente tra le fila dell’élite del Paese che si vanno sfilacciando. Deripaska è sulla lista delle sanzioni varate dagli Usa, mentre Fridman è nell’elenco degli oligarchi presi di mira dall’Ue. Sembra che anche altri personaggi non ancora soggetti a sanzioni stiano esercitando pressioni nella stessa direzione. Un miliardario e stretto collaboratore di Putin, Roman Abramovich, ha messo in vendita la sua squadra di calcio britannica, promettendo di donare tutti i profitti a «tutte le vittime della guerra in Ucraina». Abramovich ha anche accettato la proposta del governo ucraino di attivarsi come mediatore nei colloqui di pace con la Russia. Oleg Tinkov, banchiere e imprenditore, usa spesso il suo account Instagram per postare foto di suoi beni e proprietà, come lo yacht da 77 metri con tanto di sottomarino, ma la settimana scorsa ha scritto ai suoi 634mila follower: «Ogni giorno in Ucraina muore molta gente innocente. È inconcepibile e inammissibile». Se personaggi come questi pretendono, chiedono o esigono, la fine della guerra, significa una cosa sola: le sanzioni sono di gran lunga più efficaci dei precedenti tentativi delle potenze occidentali di prendere di mira l’élite russa.
Gli oligarchi svolgono un ruolo essenziale nella Russia di Putin: forniscono un sostegno inestimabile al regime, guidano aziende e istituzioni di peso e distolgono l’attenzione dall’enorme ricchezza del presidente. In certa qual misura contribuiscono a eclissarla. Come sostiene da anni Alexei Navalny, leader dell’opposizione e attivista anticorruzione in carcere, l’incessante capacità di Putin di esercitare il potere necessita della cooperazione e del sostegno di altre persone. Navalny ha messo insieme un elenco di 35 nomi che assicurano questo indispensabile aiuto al regime di Putin (gli elenchi di Navalny, degli Usa, del Regno Unito e dell’Ue hanno nomi diversi).
Quanto sia grande esattamente il potere che questi personaggi esercitano su Putin è faccenda discussa: alcuni critici sostengono che le sanzioni sono state progettate solo per far stare meglio gli occidentali. In verità, i russi più abbienti si trovano in una posizione nettamente migliore del cittadino comune e possono comunicare a Putin in che misura la sua invasione stia devastando il suo stesso Paese. Gli stili sfarzosi di vita che hanno gli oligarchi e i loro familiari implicano che costoro sono molto esposti alle pressioni esterne ora che le potenze occidentali si sono impegnate in modo più concertato rispetto al passato per prenderli di mira. Gli oligarchi che non potranno più accedere alle loro ricchezze offshore non moriranno certo di fame, ma non potranno neanche mantenere lo stesso tenore di vita lussuoso del jet-set. Come ha scherzato Josep Borrell, l’Alto rappresentante degli Affari esteri dell’Ue, in un tweet subito cancellato, questo significa: «Niente più shopping a Milano, party a Saint Tropez, diamanti ad Anversa». Quel tweet ha attirato subito enorme attenzione perché tocca un fenomeno di grande significato e spesso trascurato: saccheggiare la ricchezza del tuo Paese non ha senso se poi non puoi far sfoggio del bottino accumulato.
Cosa è mai un oligarca senza ostentazione? Per molte élite russe, la risposta, a quanto sembra, è semplice: «Niente». Le sanzioni minacciano gli oligarchi con una sorta di annientamento, simile al fenomeno che i sociologi definiscono «morte sociale». Per questo motivo, le élite russe sono state rapidissime a raccogliere e spostare o nascondere i loro costosi giocattoli, appena varate le sanzioni, e molti di loro hanno fatto qualcosa di inconsueto: hanno chiesto a Putin di porre fine rapidamente alla guerra.
Sebbene gli oligarchi e i policymaker possano deridere queste idee, i sociologi – me incluso – da tempo hanno compreso che il bisogno di vedere e soprattutto farsi vedere è un motore di primaria importanza nelle relazioni umane. Forse sorprenderà, ma non sono soltanto ricchi in modo schifoso: gli oligarchi hanno anche un bisogno irrefrenabile di essere ammirati, un bisogno che aumenta man mano che cresce la loro ricchezza. Questo è uno dei motivi per i quali miliardari come Elon Musk, Jeff Bezos e Richard Branson hanno ingaggiato una teatrale concorrenza tra loro per lanciare razzi nello spazio con grande fanfara mediatica, invece di godersi le loro fortune in privato e con discrezione.
Ho trascorso gli ultimi quindici anni della mia vita a svolgere ricerche sulle ricchezze offshore dei supermiliardari. Nei miei tentativi di comprendere in che modo la ricchezza degli oligarchi riesca a eludere agenzie del fisco, mogli divorziate e contrariati soci d’affari, sono rimasta ripetutamente stupita da come molti oligarchi sembrino non poter fare a meno di esibire pubblicamente la loro ricchezza, anche quando così facendo si espongono a dei rischi. Negli ultimi giorni, i segugi su Internet e le agenzie governative hanno seguito da vicino le tracce degli spostamenti dei jet privati degli oligarchi russi e dei loro yacht multimilionari. Le foto su Instagram scattate in località di lusso sono uno strumento strategico importantissimo per chiunque voglia imporre controlli e rendicontazione a chi altrimenti è intoccabile. Per esempio, si è sviluppata una professione di nicchia: quella di chi rintraccia gli oligarchi transnazionali grazie ai loro post sui social media, così che possano ricevere i documenti legali che congelano i loro asset. Questi raccoglitori delle tasse dei più ricchi, i Boba Fett delle masse multimiliardarie, possono fare il loro lavoro proprio perché gli oligarchi e i loro familiari che adorano viaggiare in tutto il mondo non riescono a fare a meno di pavoneggiarsi della loro ricchezza. Sembrano quasi costretti a pubblicare foto di loro stessi che socializzano con le celebrità o mentre posano su auto da corsa, anche quando sanno di essere sotto inchiesta. Molte persone che hanno dichiarato bancarotta dopo aver pagato multe pesanti ed essere stati processati in tribunale sono stati poi riprocessati per frode per aver postato i loro beni, di proposito o involontariamente.
Questa tendenza ad apparire e ostentare appare quanto mai pronunciata nelle famiglie degli oligarchi russi. L’account “Ricchi rampolli russi” (Rich Russian Kids) su Instagram ora è stato chiuso, ma aveva attirato 1,5 milioni di follower semplicemente aggregando le immagini di un lusso decadente postate dai rampolli dei ricconi russi. Come sostengono da più di un secolo i sociologi, sembra ormai assodato che, al di là della semplice sussistenza, la gente lotterà sempre più accanitamente per la posizione sociale che per i soldi.
Dopo pochi giorni di pressioni esercitate con le sanzioni, assistiamo già adesso a una sorta di battaglia nei commenti contro la guerra e negli sforzi delle élite russe di porre fine alla guerra prima possibile. Si stanno comportando esattamente come i sociologi avevano previsto che farebbe un gruppo di persone abituate all’impunità se il loro status fosse minacciato: sono furibondi e pieni d’ansia. Il loro malessere non ha ancora persuaso Putin a fermare la sua aggressione all’Ucraina, ma serve da monito per rammentare che Stati Uniti, Regno Unito e Ue potrebbero e dovrebbero affrontare un sistema cleptocratico che, come prima cosa, ha permesso al presidente russo di accumulare così tanto potere.
Continua a leggere sul settimanale The Post Internazionale-TPI: clicca qui