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Scontri settari

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L'uccisione di 14 camionisti sciiti è solo l'ultimo episodio di una serie di violenze settarie in Iraq

Quattordici camionisti sciiti sono stati giustiziati ieri a nord di Baghdad da milizie armate, secondo quanto riferisce la polizia irachena.

Un’esecuzione in piena regola, veloce e pulita. Un colpo alla testa sul ciglio della strada. “Tutte le vittime erano autotrasportatori sciiti che andavano da Baghdad a Kirkuk” ha riferito Talib Mohammed – il sindaco della città – a Reuters. “Le milizie hanno fermato i convogli vicino a Sulaiman Peik, hanno controllato i loro documenti e li hanno giustiziati sparandogli in testa e nel petto”.

I morti si aggiungono alle 2 mila vittime delle crescenti ondate di violenze che stanno attraversando il Paese da quattro mesi.

“La recente spirale di violenze in Iraq è causata da un insieme di fattori interni, già radicati nel Paese, ed esasperata dagli eventi siriani e dalla competizione di potere regionale” afferma Laith Kuba – direttore del “Middle East and North Africa Program at the National Endowment for Democracy. “Dopo la caduta di Saddam e lo smembramento degli apparati di sicurezza, l’Iraq ha uno Stato debole con una leadership che – anche se eletta democraticamente – non è in grado di governare”.

Ad attaccare il già fragile governo iracheno provvedono le milizie settarie e religiose, in costante aumento dall’invasione statunitense del 2003. Ultimamente le milizie “combattono in Siria e poi rientrano in Iraq con le competenze acquisite nella guerriglia, e le utilizzano contro il governo centrale” secondo il generale Kimmit, ex direttore della strategia del Comando Centrale Usa.

Il contesto regionale è un fattore chiave per analizzare la situazione in Iraq e “nei prossimi mesi vedremo un aumento degli attacchi nel Paese che non avrà fine fino a quando la guerra civile in Siria continuerà” conferma Souad Mekhennet, opinionista di Newsweek che copre l’Iraq.

Il settarismo dell’Iraq va a braccetto con quello della Siria e Souad aggiunge che “quello che accade in Siria getta benzina sul fuoco e ha ripercussioni in Iraq. E viceversa”. Il caos nei due Paesi è infatti fomentato dagli antagonismi delle milizie irachene che lottano l’una contro l’altra in Siria – per o contro Assad – a seconda della loro affiliazione religiosa.

Ma lo scenario non può essere spiegato solo da differenze settarie e religiose. Gli Usa stanno riducendo la loro presenza in Medio Oriente lasciando un vuoto di potere nella regione che attori come “Iran Arabia Saudita stanno cercando di colmare” spiega Saud Mekhmet. “L’Iran vuole un ruolo centrale in Medio Oriente e da decenni sta espandendo la sua influenza in Iraq, Libano e Siria – con cui ha alleanze strategica. Il regime degli Ayatollah si sente dunque minacciato dalle conseguenze di una eventuale caduta di Assad”.

L’Arabia Saudita a sua volta vuole affermare la sua supremazia nella regione e “questa competizione per l’influenza regionale fa diventare l’Iraq, in questo caso, una vittima dei giochi di potere di attori esterni” precisa Laith Kuba.

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