Sciopero della fame a Guantanamo
A Guantanamo i prigionieri sono da quasi due mesi in sciopero della fame: chiedono diritti
Il discusso centro di detenzione di Guantanamo è oggetto di rinnovate polemiche mentre uno sciopero della fame indetto quasi due mesi fa guadagna popolarità tra i prigionieri. Secondo gli avvocati di alcuni detenuti, lo sciopero è stato promosso per protestare contro l’invasività dei controlli svolti sugli effetti personali dei sospetti terroristi, sostenendo che, senza alcuna provocazione da parte loro, si siano visti confiscare “coperte, lenzuola, asciugamani, tappetini, rasoi, spazzolini, libri, foto di famiglia, CD religiosi e lettere, inclusa la corrispondenza legale”.
Inoltre, hanno suscitato particolare irritazione gli atteggiamenti irrispettosi tenuti dalle guardie carcerarie durante gli orari di preghiera e le ispezioni, svolte dagli interpreti arabi, sui Corani dei prigionieri. Gli ufficiali a capo del centro di detenzione respingono con forza le accuse di maltrattamenti e mancato rispetto dei diritti dei detenuti. Anche le dimensioni della protesta sono controverse: diversi legali affermano che ha aderito allo sciopero la maggioranza dei circa 130 detenuti dell’ala numero 6, che ospita prigionieri di minor rilevanza. Secondo le autorità invece, i partecipanti sono 37; comunque quattro volte il numero di scioperanti diffuso l’11 marzo, nella prima nota ufficiale.
Un avvocato che rappresenta 15 detenuti si è detto convinto che gli scioperanti sono disposti a morire se non saranno concordate modifiche al protocollo che regola il trattamento dei Corani in possesso ai prigionieri. Quasi due mesi di protesta hanno molto gravato sul fisico di chi ha preso parte allo sciopero: le autorità hanno disposto l’alimentazione forzata per 11 detenuti, nutriti tramite flebo, e c’è chi ha perso 20 chili di peso.
Il campo di Guantanamo non è nuovo controversie di questo tipo. Già a gennaio una guardia ha sparato a un prigioniero un colpo non letale mentre provava ad arrampicarsi sulla recinzione del campo da calcio, costruito di recente al costo di $744.000 nell’area dei prigionieri “cooperanti”.
Da quando è stato aperto, ormai più di dieci anni fa, lo status giuridico incerto dei detenuti è stato oggetto di aspre critiche. I sospetti terroristi ospitati nella Baia cubana perlopiù non sono mai stati rinviati a giudizio e la chiusura del discusso centro di detenzione è stata al centro della proposta elettorale di Barack Obama nel 2008. Una volta insediatosi, il Presidente democratico non ha realizzato la sua promessa anche a causa di forti resistenze del Congresso. Iniziative per la liberazione dei prigionieri, ripetutamente avanzate dal Comandante in capo, si trovano tuttora a un binario morto.