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Home » Esteri

Fragole insanguinate

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I contadini di San Quintín, in Messico, sono in sciopero: raccolgono fragole vendute a caro prezzo negli Stati Uniti, ma vivono in condizioni di semi-schiavitù

Ogni giorno Genaro Perfecto raccoglie circa 110 chili di fragole. Duecento chili in alta stagione. Alla fine della giornata ha le mani color rosso sangue e la schiena a pezzi, ma guadagna solo uno o due dollari all’ora.

Lo stipendio basta appena per comprare qualcosa da mangiare. Vive con sua moglie e cinque bambini in una piccola baracca di legno, dove si dorme per terra e l’unica luce è quella delle candele.

Perfecto è uno dei migliaia di contadini che lavorano in condizioni di semi-schiavitù a San Quintín (Baja California), nel nord-est del Messico, una delle regioni con la più alta produzione di fragole al mondo. Si è trasferito dal sud del Paese quindici anni fa, in cerca di fortuna. Non poteva immaginare che, pur con un lavoro a tempo pieno, si sarebbe ulteriormente impoverito.

Lavora per l’azienda messicana BerryMex, uno dei principali fornitori dell’industria frutticola statunitense Driscoll’s. La compagnia afferma che i contadini sono assunti con un contratto regolare e che in genere guadagnano dai cinque ai nove dollari all’ora, in base ai chili di frutta raccolti. Ma secondo un’indagine della Reuters, la paga settimanale si aggira tra i 51 e i 79 dollari, per oltre 50 ore di lavoro.

A marzo, stanchi di essere sottopagati, oltre 20mila contadini messicani hanno lanciato una sciopero. Le negoziazioni tra il governo e i sindacati non hanno ancora portato ad alcuna soluzione e le proteste continuano.

Lo scorso weekend una manifestazione di contadini a San Quintín è stata violentemente repressa dalla polizia messicana, che ha cercato di disperdere i contadini con proiettili in gomma e lacrimogeni. La situazione è presto degenerata: i manifestanti hanno tirato sassate alla polizia, bloccato le strade, invaso un edificio governativo e distrutto un veicolo delle forze dell’ordine. Oltre 70 persone sono rimaste ferite e decine di manifestanti sono stati arrestati. Anche all’inizio delle proteste, il 18 marzo, 200 manifestanti furono fermati dalla polizia.

I leader dello sciopero chiedono un aumento salariale (con un minimo di 13 dollari al giorno, ridotto rispetto alle richieste iniziali di 20 dollari) e migliori condizioni lavorative: accesso all’acqua, servizi di cura pubblici e vacanze pagate. La situazione è particolarmente difficile per donne e bambini: iniziano a lavorare sin dall’età di 12 anni e le ragazze sono spesso vittime di abusi sessuali nei campi. Per questo i manifestanti chiedono migliori sistemi di controllo sul lavoro.

Molti contadini si sono inoltre lamentati delle conseguenze dell’uso massiccio di pesticidi. Carmen Reyes è una donna di 34 anni, incinta di sette mesi. Continua a lavorare nonostante lo stadio avanzato della gravidanza perché non ha altra scelta, ma si lamenta di problemi alla pelle e pruriti causati dai fertilizzanti e i pesticidi utilizzati nei campi. “Quando siamo nelle piantagioni a tagliare frutta a loro non importa e continuano a spruzzare sostanze chimiche”, dice Carmen in un’intervista con la Reuters. “Dicono che non ci farà male, ma noi la pensiamo diversamente”.

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