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Scandalo Bruxelles, l’eurodeputato Cozzolino nel mirino dei pm: “Era parte della rete pro Qatar e Marocco”

Immagine di copertina
Credit: Ansa

Scandalo Bruxelles, l’eurodeputato Cozzolino nel mirino dei pm: “Era parte della rete pro Qatar e Marocco”

Sarebbe l’eurodeputato Andrea Cozzolino il terzo componente del gruppo che riceveva denaro da Marocco e Qatar “per effettuare ingerenze” nella politica europea. È l’ipotesi degli inquirenti belgi che,  secondo quanto riporta Repubblica, ancora non hanno indagato l’esponente del Partito democratico, in assenza di prove delle cessioni di denaro. Cozzolino, protetto anche dall’immunità parlamentare, è stato invece indicato dal proprio assistente Francesco Giorgi, arrestato la scorsa settimana insieme all’ex europarlamentare Antonio Panzeri, nella prima fase dello scandalo che rischia di travolgere la politica europea e in particolare il gruppo dei Socialisti e democratici.

Il compagno dell’ex vicepresidente dell’europarlamento Eva Kaili ha detto ai magistrati di “supporre” che Cozzolino abbia ricevuto soldi da Panzeri. Uno scambio di cui la procura belga sta cercando le prove tramite l’analisi dei dispositivi elettronici e delle chat sequestrate, per poter chiedere al parlamento europeo la revoca dell’immunità.

“Sono del tutto estraneo alle indagini”, ha replicato Cozzolino, sostenendo di non aver mai agito né per il Qatar e né per il Marocco. “Non sono indagato, non sono stato interrogato, non ho subito perquisizioni né, tantomeno, sono stati apposti sigilli al mio ufficio. Non ho mai perseguito interessi, vantaggi o utilità personali nella mia vita politica”, ha aggiunto l’europarlamentare, che ha smentito di aver incontrato il capo dei servizi segreti marocchini, Mansour Yassine. “Non ho mai avuto alcun vantaggio personale e mi batterò per fare piena luce su sospetti infondati”.

“Ci troviamo di fronte a un gruppo indeterminato e molto ampio di corruzione, operante all’interno di strutture europee con o senza legami con l’Unione Europea”, era la descrizione fatta dalla procura delle attività del gruppo, che aveva una “motivazione prioritaria: il lavoro con il Marocco e il Qatar in cambio di denaro”, avevano scritto i magistrati nel decreto che ha portato all’arresto la scorsa settimana di Giorgi e Panzeri, fondatore di Fight Impunity, una delle ong al centro dell’inchiesta. Negli scorsi giorni, gli inquirenti hanno trovato 20mila euro in una cassetta di sicurezza intestata a Giorgi, mentre nella casa italiana di Panzeri sono stati sequestrati tre sacchi contenenti 17mila euro. Nella casa di Kaili, compagna di Giorgi espulsa dal gruppo dei Socialisti e democratici, sono stati rinvenuti 150mila euro in contanti, in aggiunta ai 600mila euro trovati nel trolley che il padre stava trascinando nel quartiere europeo di Bruxelles.

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