“Prima i populisti”: il progetto di Salvini della Lega delle leghe europee
In vista delle elezioni europee del 2019 il leader del Carroccio punta a creare un asse con gli altri movimenti sovranisti per dettare una nuova linea a Bruxelles
La Lega delle leghe è stata lanciata. È bastato l’annuncio di Matteo Salvini, uno e trino segretario della Lega, ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio italiano, durante il comizio dell’1 luglio a Pontida: luogo simbolo di raduno della storica Lega nord.
Che cos’è la fantomatica federazione che è stata vaticinata dal sempreverde leader leghista?
Dalle elezioni politiche italiane del 4 marzo 2018, il governo emerso dopo quasi novanta giorni di trattative ha portato a una spartizione di poltrone e dicasteri non proprio corrispondente alle percentuali elettorali ottenute nelle urne (32 per cento del MoVimento5Stelle e 17 per cento della Lega, primo partito della coalizione di centro destra con Forza Italia e Fratelli d’Italia di Berlusconi e Meloni, rimasti ai margini del contratto di governo).
Al netto delle elezioni amministrative della primavera scorsa, e di alcuni appuntamenti regionali in previsione nel medio termine (pensiamo alla Sardegna il prossimo febbraio, regione in cui la Lega si è presentata finora con il Psd’Az), il grande banco di prova per Salvini è rappresentato dalle elezioni europee di maggio 2019 per il rinnovo del Parlamento europeo.
Dietro a un possibile successo elettorale su base locale o nazionale però, c’è molto altro. Ed è qui che appare cruciale la possibile istituzione di un’alleanza transnazionale in cui la Lega gioca un ruolo trainante.
L’assemblea di Strasburgo è l’unica istituzione democratica dell’architettura europea: il Parlamento è interamente composto da rappresentanti eletti dai cittadini europei.
e ultime elezioni politiche del 2014 sono state contrassegnate da una vittoria dei popolari europei (PPE) e dal successo del Partito democratico che in Italia ha superato il 40 per cento dei consensi, alla sua prima prova come affiliato alla famiglia dei socialisti e democratici (S&d).
Partiti come la Lega, in questo finale di legislatura, siedono all’Europarlamento nel gruppo Europa delle Nazioni e della Libertà (ENF) in compagnia delle forze nazionaliste, sovraniste ed euroscettiche: tra queste il Front National, giunto al ballottaggio nelle scorse presidenziali francesi contro il movimento en Marche, dato parzialmente confermato in occasione delle conseguenti elezioni legislative transalpine del 2017.
Il nodo sta qui: se Salvini, affine ai movimenti dichiaratamente populisti, riesce a stilare un accordo di impronta federale, i partiti saldamente al comando in Ungheria, Polonia, e Austria (oltre alla già citata Francia e all’Olanda) potrebbero convergere verso un unico gruppo politico europeo, rinunciando in qualche caso a rinnovare l’apparentamento esistente con il PPE che, in paesi come quello guidato da Orban, appare ormai anacronistico.
E, stanti gli appuntamenti europei in programma nell’agenda del titolare del Viminale, nelle prossime settimane d’estate e di inizio autunno, oltre agli annunci, Salvini andrà a parlare di immigrazione con i suoi omologhi e, sottotraccia, proverà a tessere un possibile accordo delle Leghe che costituisca un muro solido contro le grandi famiglie politiche europee che, ovunque nel vecchio Continente, perdono potere e consenso.
L’obiettivo implicito è ottenere una maggioranza, seppur risicata, per imporre una nuova linea a Bruxelles, approfittando dell’onda lunga populista e di un nuovo afflato conservatore e patriottico, mascherato da una lotta all’establishment di cui adesso, la Lega e le altre possibili leghe sparse in Europa, sono divenute parte integrante, con l’ascesa al potere nei rispettivi governi nazionali.
Quelle del 2019 saranno le prime elezioni democratiche di un’Unione europea orfana del Regno Unito che lascerà liberi i 73 seggi spettanti fino alla fatidica Brexit avvenuta con il referendum del 23 giugno 2016.
Sarà un’Unione europea che affronterà il cruciale dibattito delle riforme istituzionali fino ad ora rimandate: a partire dalla istituzione di un ministro europeo unico dell’economia e delle finanze, per i diciannove paesi dell’eurozona o esteso a tutti gli stati membri.
Sarà un’Europa che, oltre ad eleggere un nuovo presidente dell’Europarlamento tra i suoi componenti, indicherà anche il nuovo presidente della Commissione europea.
Una scelta, quest’ultima, che dirà se l’Unione europea intende proseguire verso integrazione e allargamento dei propri orizzonti, nonostante i limiti evidenti delle politiche di austerity degli scorsi anni, o preferirà legarsi ai propri fantasmi, virando decisamente a destra.
‘Prima i popoli’ (europei), potrebbe essere lo slogan di una lunga e infuocata campagna elettorale: prima i populisti, verrebbe da pensare, considerando i temi che imperversano nelle numerose piazze in cui si cercano nemici di ogni colore per confondere l’assenza di progetti politici sotto il segno dell’unità nella diversità.