Ucraina e Russia non hanno mai smesso di trattare: ecco perché un cessate il fuoco non è impossibile
Grano, export, nucleare, scambi di prigionieri. Per fermare la guerra serve un’intesa, c’è però chi considera il negoziato impossibile. Eppure Kiev e Mosca hanno già raggiunto una serie di accordi nonostante quasi nove mesi di guerra
Sfatiamo un mito: il dialogo tra Ucraina e Russia è possibile e, ben più importante, è già in atto. A dimostrarlo ci sono quattro accordi faticosamente mediati in oltre otto mesi di guerra e un’intesa quasi raggiunta a poco più di un mese dall’inizio dell’invasione russa.
Se non è sufficiente per far cessare le ostilità, è abbastanza per dimostrare che mettere Kiev e Mosca intorno a un tavolo è un obiettivo raggiungibile. È proprio da qui che le parti in conflitto e la comunità internazionale potrebbero ripartire per fermare il massacro quotidiano e arrivare almeno a un cessate il fuoco.
Frutto di mesi di trattative tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres con Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky, l’accordo tra Russia e Ucraina mediato a luglio ha consentito l’esportazione di oltre 9,5 milioni di tonnellate di prodotti alimentari. Fino a fine ottobre, l’intesa, prima sospesa da Mosca dopo un attacco ucraino alla flotta di Sebastopoli e poi ripristinata, ha assicurato il passaggio delle navi con a bordo cereali, fertilizzanti e altri generi alimentari attraverso un corridoio umanitario nel Mar Nero. Non solo ha attenuato la grave crisi che affligge i Paesi poveri dipendenti dai cereali prodotti nella regione ma, per la prima volta dall’invasione, ha anche dimostrato che Mosca e Kiev possono tornare a negoziare, trovare punti di incontro sulla base dei rispettivi interessi e persino collaborare per attuare gli accordi stabiliti.
L’intesa separata tra i due Paesi e l’Onu prevede infatti che tutti i carichi in arrivo e in partenza dai porti ucraini – occupati o meno dai russi – siano ispezionati e monitorati da esperti di tutte le parti coinvolte. Inoltre ha permesso di istituire a Istanbul un Centro di coordinamento e monitoraggio congiunto in cui lavorano rappresentanti di Ucraina, Russia e Turchia. Al di là delle reciproche accuse e del provvisorio stop (l’accordo originale scade comunque a metà novembre, quando le parti dovranno decidere se rinnovarlo), si tratta di un precedente importante perché rappresenta il più grande risultato raggiunto finora dalla diplomazia nel corso della guerra in Ucraina. Dimostra quanto la Russia sia pronta al compromesso in cambio di un allentamento delle sanzioni e come anche l’Ucraina sia disposta ad accettare una mediazione internazionale. Ma non è l’unico esempio di dialogo riuscito tra le parti.
A fine agosto, una squadra di ispettori dell’Aiea, guidata dal direttore Rafael Mariano Grossi, è riuscita a entrare nella centrale nucleare di Zaporizhzhia, il più grande impianto del genere in Europa, situato nel sud-est dell’Ucraina occupata dalla Russia e che tuttora si trova sotto il fuoco incrociato delle truppe di Mosca e Kiev. Recandosi più volte da Putin e Zelensky, il capo dell’agenzia Onu è riuscito a istituire una missione permanente che continua a monitorare lo stato dei reattori nella centrale. La mediazione ha permesso di interrompere le operazioni dell’unico dei sei reattori dell’impianto ancora in funzione portandolo, con il consenso degli esperti internazionali, a una più sicura situazione di arresto “a freddo”.
Anche in questo caso, nonostante le continue difficoltà e i persistenti rischi di disastro nucleare dovuti ai bombardamenti mai conclusi intorno alla centrale, il riconoscimento delle autorità ucraine di una missione internazionale che collabora con le forze di occupazione sul suo territorio e la disponibilità del Cremlino a consentire l’attuazione delle ispezioni in una zona di guerra dimostra la possibilità di raggiungere risultati importanti attraverso il dialogo. E non è finita qui.
Oltre 400 persone sono state coinvolte tra settembre e ottobre in una serie di scambi di prigionieri tra Ucraina e Russia, secondo una serie di accordi mediati ancora una volta dalla Turchia e dall’Arabia Saudita. A fine settembre, 215 ucraini catturati dai russi a Mariupol sono stati rilasciati dalle truppe di Putin. In cambio, Kiev ha consegnato a Mosca 55 tra militari russi e separatisti, oltre all’oligarca Viktor Medvedchuk, considerato il principale alleato di Putin nel Paese.
Negli stessi giorni, 10 stranieri che combattevano al fianco degli ucraini sono stati liberati dal Cremlino grazie alla mediazione del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Tra la metà e la fine di ottobre, 160 civili e 30 soldati ucraini sono stati rilasciati dalle forze russe in cambio della consegna a Mosca di un’altra cinquantina di militari russi. Per stessa ammissione delle parti, tra le persone coinvolte figurano «ufficiali, sergenti e soldati» di entrambi gli schieramenti. Insomma, neanche il pericolo che questi possano tornare a combattere ha impedito l’intesa.
È chiaro che una serie di seppur importanti ma limitati e precari accordi non siano sufficienti per arrivare a una conclusione del conflitto. Il principale ostacolo a una soluzione diplomatica della guerra sembra infatti legato alla mancanza di basi concrete su cui costruire un’intesa accettabile sia a Kiev che a Mosca. Eppure gli ultimi mesi di contatti tra Ucraina e Russia raccontano un’altra storia.
Tutto è avvenuto tra gli ultimi giorni di marzo e i primi di aprile, a poco più di un mese dall’invasione, quando le delegazioni diplomatiche di Ucraina e Russia avevano quasi raggiunto un accordo. L’intesa prevedeva il ritiro delle truppe di Putin alle posizioni che occupavano prima del 24 febbraio, la promessa di Kiev di non chiedere l’adesione alla Nato in cambio di una serie di garanzie di sicurezza da alcuni Paesi e negoziati separati sulla Crimea. Allora – secondo il negoziatore ucraino e braccio destro di Zelensky, David Arakhamia – i delegati di Mosca accettarono tutto «verbalmente», ad eccezione della questione della penisola.
Una ricostruzione poi in parte confermata anche dalla Russia e da fonti statunitensi. A giugno, in occasione del Forum economico internazionale di San Pietroburgo, il capo della delegazione russa Vladimir Medinsky rivelò alla stampa che a metà aprile le parti avevano raggiunto un accordo sul 75 per cento delle proposte emerse dai colloqui a Istanbul. Per Mosca però furono gli Stati Uniti a impedire agli ucraini di firmare l’intesa.
Stando invece al quotidiano online Ukrainska Pravda, fu l’allora premier britannico Boris Johnson a invitare Zelensky a interrompere i negoziati. Fatto sta che, come ammesso anche nell’ultimo numero di Foreign Affairs da diversi ex alti funzionari statunitensi, poco più di un mese dopo l’inizio della guerra i negoziatori russi e ucraini sembravano aver raggiunto un accordo provvisorio.
Da allora purtroppo la situazione sul campo, l’emergere di potenziali crimini di guerra russi, le difficoltà delle truppe di Putin, lo slancio della controffensiva ucraina e l’annessione illegale dei territori occupati hanno messo in discussione le possibilità stesse di dialogo.
Tuttavia gli accordi raggiunti dimostrano che i contatti sono ancora vivi e che, almeno fino a qualche mese fa, esisteva una base su cui poter costruire un’intesa tra le parti. È su queste fondamenta che la comunità internazionale potrebbe tentare di arrivare, se non alla pace, almeno a un cessate il fuoco.