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Home » Esteri

L’ascesa della Russia di Putin non passa solo dalla Siria

Immagine di copertina
Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Il disimpegno degli Stati Uniti dal Medio Oriente, l’attenzione di Washington all'Asia-Pacifico e l’allontanamento tra le due sponde dell’Atlantico hanno permesso a Putin di mettere piede in Africa e di allargare la proiezione strategica del Cremlino su altri “mari caldi”, alimentando lo scontro e allo stesso tempo l'influenza russa sull'Occidente

Russia: l’ascesa di Putin non passa solo dalla Siria

In soli tre giorni, la Russia di Vladimir Putin è assurta a perno della politica internazionale, negoziando un’ulteriore tregua di 150 ore in Siria tra Turchia e forze curdo-siriane, ospitando un summit di due giorni con la partecipazione di una quarantina di capi di Stato dell’Africa e monopolizzando l’attenzione della NATO al vertice dei ministri della Difesa di Bruxelles.

L’ascesa del Cremlino sulla scena internazionale è infatti sempre più riconosciuta, in particolare negli ambienti in cui il suo presidente è guardato con sospetto. In un recente editoriale il Wall Street Journal ha proclamato Putin “il nuovo re della Siria”, mentre la BBC sottolinea come il capo di Stato russo sia passato in meno di cinque anni da paria internazionale a diventare il più ascoltato mediatore in Medio Oriente. Un’opinione confermata persino dal presidente del World Economic Forum, Borge Brende, secondo cui l’espansione russa nel Levante rappresenta ormai una “chiara realtà sul campo”.

Secondo il Wilson Center, nonostante le risorse limitate, la Russia è tornata a recitare il ruolo di attore globale in maniera davvero efficace. Nel suo nuovo libro dal titolo “Il Mondo di Putin”, la professoressa britannica e direttrice del Centro studi eurasiatici della Georgetown University, Angela Stent, sostiene che Mosca ha sfruttato molto abilmente le opportunità offerte da un Occidente diviso e distratto, che ha permesso al Cremlino di tornare a mettere piede in Medio Oriente e in Africa, nonostante i suoi fondamentali non proprio solidi.

La Russia di Putin: prospettive interne ed esterne

A fronte di una serie di recenti dati economici in miglioramento, vaste fasce del popolo russo vivono infatti ancora in povertà e conoscono una limitata libertà politica. Secondo l’Istituto statistico Rosstat, il reddito disponibile reale è cresciuto del 3% in Russia nel terzo trimestre, eppure la vicepremier Tatyana Golikova ha riconosciuto come oltre la metà delle famiglie russe con figli viva al di sotto della soglia di povertà, in un Paese dove oltre 30mila persone sono state multate negli ultimi 15 anni per aver manifestato senza autorizzazione.

Eppure, sussiste un’ampia divergenza di valutazione sull’operato del Cremlino rispetto alle prospettive interne ed esterne. L’attuale presidente russo è stato spesso descritto dai media occidentali come una figura potente ma pericolosa. Se ogni tanto la repressione delle manifestazioni di piazza a Mosca e le cifre “bulgare” delle elezioni in Russia fanno capolino tra i titoli dei principali telegiornali, ricorre sempre meno il ricordo dell’annessione della Crimea e le continue ostilità in Ucraina, che a inizio ottobre hanno provocato altre 4 vittime e centinaia di scontri armati.

A Mosca viene invece sempre più riconosciuto un ruolo unico assunto nel mondo, diverso da quello svolto dall’Unione sovietica durante la Guerra fredda, in particolare in Medio Oriente. La Russia sembra infatti l’unica grande potenza che parla a tutti i diversi gruppi coinvolti nei differenti conflitti regionali. Molti attori della regione vedono in Mosca un attore affidabile e, nonostante le pessime relazioni con l’Occidente, la maggior parte del resto del mondo considera la Russia un grande Paese, autoritario ma con cui è possibile concludere affari.

Questa ambivalente valutazione coinvolge anche l’Occidente, dove le differenti opinioni sull’attivismo russo nel mondo riflettono le divisioni tra le due sponde dell’Atlantico e quelle interne all’Europa. Se Putin fa ancora paura nell’est europeo, che continua ad armarsi contro una possibile minaccia russa, diversi movimenti politici in Europa occidentale, tra cui la Lega, si ispirano al capo del Cremlino nella propria proposta politica, provocando non poche ansie a Washington rispetto alla vicinanza tra le due sponde dell’Atlantico sull’atteggiamento da tenere con Mosca.

Gli obiettivi economici

Tuttavia, nonostante le preoccupazioni per un rapporto sempre più opaco tra alcuni dei movimenti politici più seguiti in Europa occidentale e il Cremlino, l’intervento russo nella politica del vecchio continente sembra avere per lo più obiettivi economici. Oltre cinque anni fa, l’allora segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, denunciava “la campagna di disinformazione promossa da Mosca per mantenere la dipendenza europea dal gas russo”, mentre un rapporto pubblicato lo scorso anno dal comitato scientifico della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, accusava il Cremlino di aver “manipolato vari gruppi nel tentativo di portare avanti la sua agenda geopolitica, in particolare per quanto riguarda la politica energetica nazionale” statunitense.

In questo contesto, è significativo notare come la maggior parte delle proposte e dichiarazioni riguardanti la Russia da parte dei principali rappresentanti dei cosiddetti movimenti “populisti” e “sovranisti” europei, molti accusati di essere finanziati da Mosca, mirino ad abrogare le sanzioni economiche imposte al Cremlino da Unione europea e Stati Uniti dopo l’annessione della Crimea.

Russia: la politica estera di Putin

Mosca sembra aver assunto un diverso modello di politica estera con Vladimir Putin alla guida. Seguendo l’esempio cinese, il Cremlino intende infatti presentare una narrativa in cui Russia rappresenta un Paese contrario ai cambi di regime politico in altre nazioni, un attore che si batte contro il caos e sostiene lo status quo, incontrando il favore della maggior parte dei leader internazionali, soprattutto al di fuori dell’Europa, dove gli obiettivi economici dell’interferenza politica russa e la generale ostilità verso un’organizzazione come l’Unione europea offuscano l’immagine propagandata dal Cremlino, le cui maggiori armi restano comunque la forza militare e le risorse energetiche.

Secondo il Carnegie Endowment for International Peace, da quasi vent’anni, da quando il presidente russo Vladimir Putin è arrivato al potere a Mosca, il petrolio e il gas sono stati parte integrante della strategia della Russia per riguadagnare influenza sulla scena mondiale. Mosca infatti usa la propria politica energetica non solo per generare profitti economici, ma anche come strumento di politica estera, contrastando gli sforzi di diversificazione dell’Unione europea e avvicinandosi sempre più ai principali Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, che rappresenterebbero l’unica alternativa valida per l’Ue al gas russo.

La strategia di Mosca non si limita infatti a tentare di monopolizzare la fornitura di energia al continente. Nella complessa e mutevole scena della politica energetica internazionale, Mosca ha infatti dimostrato una certa coerenza di azione in Medio Oriente e Nord Africa. Invece di considerare i principali attori regionali esclusivamente come concorrenti, visto che alcuni dei principali produttori di petrolio e gas del mondo si trovano proprio in quest’area, il Cremlino ha deciso di adottare una politica di cooperazione attraverso una serie di accordi e investimenti.

Putin e le mire in Medio Oriente e Africa

In Egitto, ad esempio, la Russia ha acquistato nel 2016 una quota del 30% del giacimento di Zohr dal gruppo ENI, con il consenso del governo italiano. Inoltre, nel novembre del 2015, Mosca e il Cairo hanno firmato un accordo per costruire e gestire la prima centrale nucleare del Paese mediorientale, nella città costiera nord occidentale di Dabaa. L’impianto da 4 reattori con una capacità di 1.200 MW ciascuno, prevede un prestito da 25 miliardi di dollari dalla Russia all’Egitto per finanziare la costruzione del progetto, i cui lavori dovrebbero essere completati entro il 2022. Un accordo simile coinvolge poi la Turchia, dove la centrale nucleare di Akkuyu dovrebbe essere terminata nel 2023.

Anche la corsa ai giacimenti sottomarini di gas al largo delle coste del Mediterraneo orientale, in particolare in Libano, hanno attirato l’interesse della Russia, con l’acquisto da parte di Novatek di una partecipazione del 20% in una joint venture controllata con il 40% ciascuno dalla francese Total e dalla stessa ENI. La Russia ha anche cominciato a controllare le risorse di petrolio e gas in Siria, nonostante la guerra civile che infuria nel Paese da otto anni. Se l’effetto reale dell’intervento russo in questo settore dipenderà molto da un eventuale accordo politico che metta fine al conflitto, l’intesa raggiunta ieri con Erdogan potrebbe favorire le ambizioni di Mosca.

Gran parte dei giacimenti della Siria si trovano infatti a nord e a est del fiume Eufrate, proprio nelle aree oggetto dell’offensiva turca contro le forze curdo-siriane, abbandonate dall’Occidente e riavvicinatesi al regime di Damasco. Anche nel vicino Iraq, la Russia è coinvolta in una serie di accordi sull’oleodotto che attraverserà la regione del Kurdistan, le cui esportazioni dovrebbero avvenire proprio attraverso il territorio turco o in futuro eventualmente anche su quello siriano.

L’attivismo russo ha poi coinvolto anche la Libia, la cui ulteriore cooperazione con Mosca nel campo dell’estrazione petrolifera è stata incoraggiata durante la scorsa edizione della Settimana dell’Energia russa, rilanciando una serie di progetti stipulati nell’era Gheddafi con Rosneft e relativi a joint venture, attività di esplorazione e produzione energetica.

A lungo termine, questa presenza potrebbe costituire una nuova leva strategica sull’Europa e in particolare sull’Italia, il Paese dell’Ue più interessato alla stabilità della Libia. L’appoggio russo al generale Khalifa Haftar, impegnato in un conflitto militare con il Governo di Accordo Nazionale di Tripoli, l’unico riconosciuto a livello internazionale, si inserisce proprio in questo contesto. Il maresciallo libico, che è arrivato a proporre il dislocamento di una base militare russa nel Paese, è accusato da tempo di avvalersi di mercenari della compagnia militare privata russa Wagner Group, mentre lo scorso mese sono trapelate alcune informazioni circa l’invio in Cirenaica di tecnici addetti alla manutenzione di mezzi militari da parte del Cremlino. La scommessa su Haftar si spiega pensando alle possibili implicazioni di una vittoria delle sue milizie contro Tripoli, che permetterebbe al generale di ottenere il controllo delle forniture di petrolio all’Italia.

La presenza russa nel Mediterraneo si estende poi anche all’Algeria, dove Gazprom sta conducendo una serie di esplorazioni alla ricerca di giacimenti di idrocarburi nell’area di El Assel, in quello che dovrebbe essere il principale concorrente del Cremlino nella vendita di gas all’Europa, visto che il Paese africano esporta il 10,7% del gas naturale importato ogni anno dall’Unione europea. Mosca ha poi concluso anche una serie di accordi con il Sudan per una collaborazione in campo nucleare ed energetico, nonostante le preoccupazioni dell’Occidente in questo senso.

Non è difficile comprendere come diversi osservatori africani considerino il ruolo di Mosca nel continente come un contrappeso alle ambizioni di altre potenze, in particolare Cina, Francia e Stati Uniti. A dimostrazione di questo, assistiamo alla vasta adesione al primo Forum economico Russia-Africa inaugurato oggi a Sochi dal Cremlino, a cui partecipano una quarantina di capi di Stato del continente. Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a una vera e propria proliferazione di comitati bilaterali, forum economici e conferenze di coordinamento tra i Paesi del continente e la Russia, che nel 2011 ha istituito l’Agenzia per l’assicurazione sui crediti all’esportazione (EXIAR), proprio per agevolare le attività delle aziende russe in Africa.

Il balzo verso sud

Secondo il vicepresidente della Duma di Stato russa, l’ultranazionalista e populista Vladimir Žirinovskij, il cosiddetto “brosok na Jug” ossia il “balzo verso sud”, è iscritto da secoli nel dna del Paese, alla ricerca di un posto nei “mari caldi”. Una volta avuto accesso al Mediterraneo e aver conquistato la possibilità di mantenere una base navale in Siria durante la Guerra fredda, ora Mosca sembra mirare ancora più a sud.

Dal 2010, gli scambi tra Russia e Africa sub-sahariana sono quasi triplicati, passando da 1,8 a 4,8 miliardi di dollari, con 3 miliardi di esportazioni russe nel continente e 1,7 miliardi di importazioni. Nel 2015 l’Algeria, insieme a Egitto, Marocco, Guinea, Costa d’Avorio e Sudafrica, erano responsabili dell’80% delle esportazioni africane in Russia. Nonostante i numeri restino tutto sommato modesti rispetto a quelli registrati da altre potenze nel continente, va notato come la Russia abbia praticamente monopolizzato la fornitura di armi in Africa.

Secondo l’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma, dal 2009 al 2018, Mosca ha venduto 1,83 miliardi di dollari di armamenti alle nazioni africane. Inoltre, negli ultimi anni, la presenza del già citato gruppo di mercenari Wagner è stata denunciata in Repubblica Centrafricana, Mozambico, Madagascar, Sudan e Libia. Sia che lavorino per i governi o le varie fazioni africane o che aiutino a tutelare gli interessi russi in quei Paesi, la loro presenza rappresenta di certo una prova della maggiore attenzione di Mosca verso l’Africa.

Secondo un’inchiesta pubblicata a giugno dal Guardian, il Cremlino ha inoltre finanziato la formazione di una nuova generazione di “leader” nel continente, in particolare in Repubblica Centrafricana, Sudan, Madagascar, Zimbabwe e Sudafrica, una denuncia che sembra trovare conferme. Secondo la BBC infatti, almeno 6 dei 36 candidati alle elezioni presidenziali dello scorso autunno in Madagascar avevano legami a vario titolo con Mosca.

Nonostante l’impronta russa in Africa sia ancora limitata rispetto ad altre potenze, la Russia vuole presentarsi come un’alternativa alle preoccupazioni africane circa il neo-colonialismo e le ambizioni cinesi nel continente. La presenza militare e i progetti di Mosca in Africa lo dimostrano. La Russia è sempre più presente infatti nel continente con proprie missioni di pace, contribuendo guarda caso insieme a Cina e Francia al grosso dei contingenti internazionali schierati in Africa. Mosca sembra così essersi posta ancora una volta in competizione con l’Europa in un altro teatro strategico.

La Russia di Putin e il riavvicinamento con l’Europa

Nonostante la preoccupazione occidentale per la postura militare russa nelle varie aree che coinvolgono il continente europee, alcuni osservatori, sostengono però che sia in preparazione un riavvicinamento tra Russia ed Europa, nonostante la massiccia presenza militare russa alle porte dell’Ue.

L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, il principale organo europeo per i diritti umani, ha recentemente confermato un riavvicinamento alla Russia, a seguito della sospensione dopo l’annessione della Crimea nel 2014. Molti politici francesi, tedeschi e di altre nazioni europee sono sempre più aperti rispetto alla ricerca di un terreno comune con Mosca, che mostra una crescente volontà di migliorare le relazioni con i vicini, visti i costi degli interventi in Ucraina, Moldavia e Georgia.

Negli ultimi tre mesi ad esempio si sono tenuti numerosi incontri tra funzionari di Mosca e Kiev, che si sono scambiate prigionieri e hanno discusso di possibili elezioni in Donbass, mentre il Cremlino ha migliorato i rapporti con la Moldavia e ha organizzato lo scorso mese il primo incontro tra ministri degli Esteri con la Georgia dall’invasione russa del 2008.

Nonostante la portata di questi incoraggianti segnali sia tutta da dimostrare, l’accresciuta credibilità di Mosca sul piano internazionale e il superamento dell’ostilità euro-russa non sarebbe certo estranea al progressivo ritiro di Washington da una serie di responsabilità globali. Man mano che evolve il ruolo degli Stati Uniti nel mondo e peggiorano le relazioni con la Turchia, l’Iran e la Cina, l’Europa deve trovare un modo prima di coesistere e poi di competere con Mosca e Pechino.

Se non sembra ancora probabile un’abrogazione delle sanzioni alla Russia e anche se l’Occidente dovesse arrivare a riconoscere un tacito dominio russo sulla Crimea, Mosca non uscirebbe di certo trionfante dalla crisi ucraina. Ormai quasi il 90% del territorio del Paese è associato al mercato unico europeo, mentre l’attivismo russo non ha fatto altro che incoraggiare il nazionalismo delle popolazioni dei Paesi vicini, senza apportare benefici economici alla Russia.

Il grande riconoscimento internazionale del ruolo del Cremlino non sembra infatti avere effetti concreti sulla vita quotidiana dei russi. Oltre un secolo fa, lo storico Vasily Klyuchevsky sottolineò in questo senso uno dei maggiori paradossi vissuti dalla Russia. “A fronte dell’espandersi del territorio del Paese e dell’influenza del popolo russo che cresce all’estero, così, in proporzione inversa, le libertà interne sono sempre più limitate”, scriveva Klyuchevsky nel suo “Corso della Storia Russa”. Il periodo sovietico e l’era di Putin sembrano ancora dare ragione allo storico del XIX secolo, secondo cui la storia russa dimostra quanto il riconoscimento internazionale, le libertà interne e il benessere economico non abbiano ancora trovato a Mosca una via per la piena conciliazione.

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