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Home » Esteri

In Russia la guerra non esiste: così i media di Stato hanno cancellato l’invasione dell’Ucraina

Immagine di copertina
Credit: Ansa

L’invasione russa dell’Ucraina ha scatenato, oltre a quella militare, una guerra parallela a colpi di “verità” alternative, che ha finito inevitabilmente per coinvolgere anche le grandi piattaforme online, costringendole in qualche modo a schierarsi. Ciò ha provocato l’escalation nota a tutti: Google e Meta hanno dapprima bloccato le inserzioni pubblicitarie dei media controllati dallo stato russo, con la compagnia di Zuckerberg che ha anche oscurato l’accesso a Russia Today e Sputnik nell’Unione Europea.

La Russia ha risposto bloccando l’accesso a Facebook in tutto il Paese, accusando il social di “discriminazione nei confronti dei media russi”. Più a monte, l’intento del Cremlino sembra essere quello di isolarsi dalla rete Internet globale per trasferirsi su uno spazio virtuale autoctono, ovvero Runet, l’Intranet locale che permetterebbe di mantenere tutti i dati su server russi.

L’isolamento dal World Wide Web avrebbe, in ultima analisi, la funzione di garantire l’esistenza di una e una sola narrazione della realtà, quella veicolata dai media statali russi. Non a caso, in questi giorni di guerra, sono tante le persone in Russia che affermano di riuscire a trovare informazioni indipendenti solo su piattaforme come Telegram. Una situazione che ha indotto lo stesso fondatore di Telegram, Pavel Durov, a mantenere aperti alcuni canali della piattaforma che si occupano del conflitto, dopo aver inizialmente dichiarato di volerli chiudere.

La guerra invisibile

Limitato o bloccato l’accesso ai social media, chiusi diversi media indipendenti come la radio Eco di Mosca e la Tv Dozhd, approvata una legge che prevede 15 anni di carcere per chi chiama “guerra” la guerra e “invasione” l’invasione (col conseguente ritiro dei propri corrispondenti da parte di emittenti come Rai, BBC, Cnn e molte altre), la dieta mediatica della maggior parte dei russi è limitata alle narrazioni proposte dai media di Stato.

Un articolo del New Yorker ha spiegato nel dettaglio che percezione può avere un cittadino russo di quanto sta avvenendo in Ucraina, quale realtà gli viene rappresentata sui mezzi di comunicazione dello Stato. Il primo elemento rilevante in questo contesto è l’età media piuttosto alta della popolazione russa: al di là della censura e del blocco dei mezzi di informazione indipendenti, quindi, sono moltissimi i russi ad avere una scarsa familiarità con l’informazione online e ad affidarsi in maniera automatica ai mezzi di comunicazione tradizionali.

Ed è qui che la realtà viene rappresentata cambiando i nomi alle cose, o descrivendo situazioni che non trovano alcun riscontro nemmeno nelle immagini che vengono proiettate. C’è ovviamente il ben noto maquillage nominalistico, per il quale l’invasione diventa una “operazione militare speciale per ripristinare la pace”, in linea con le posizioni ufficiali del Cremlino.

Più inquietanti appaiono però altre situazioni descritte nell’articolo del New Yorker: “Il canale all news di stato, Rossiya 24, riferisce di villaggi e città che sono stati ‘liberati’, ma lo fa nominando piccole località sconosciute alla maggior parte degli spettatori. Le immagini sullo schermo spesso contraddicono le parole che vengono dette su di esse. Un giornalista di Rossiya 24 ha raccontato di aver visto con i suoi occhi un razzo ucraino inesploso, incastrato nel pavimento di ‘un appartamento in Lenin Street’. L’immagine di accompagnamento era quella di una strada vuota in un villaggio non identificabile”.

Lo scorso primo marzo, si legge ancora nell’articolo a firma di Masha Gessen, le scuole di tutto il paese hanno tenuto lezioni speciali sulla guerra in Ucraina. Mediazona, testata giornalistica indipendente e per questo etichettata come “agente straniero” dal Cremlino, è riuscita ad ottenere una copia delle F.A.Q. inviate alle scuole dal ministero dell’Istruzione per questa giornata: Tra di esse vi era ad esempio la domanda: “Siamo in guerra con l’Ucraina? Si sarebbe potuto evitare?”. La risposta fornita agli studenti era: “Non siamo in guerra. Stiamo conducendo una missione speciale per garantire la pace: l’obiettivo della missione è contenere i nazionalisti che opprimono la popolazione di lingua russa”.

Nelle prime fasi del conflitto, quando i social media erano ancora un terreno fertile per la propaganda governativa, la Russia metteva in atto diverse strategie per orientare le narrazioni sulla guerra anche all’interno di queste piattaforme: il canale indipendente TV Rain, prima di essere bloccato, aveva trasmesso un servizio che spiegava come il governo russo, attraverso alcune agenzie pubblicitarie, si offrisse di pagare blogger e TikToker per pubblicare post sulla guerra. Questi post dovevano essere accompagnati da hashtag come #LetsGoPeace e contenere frasi come: “Chiediamo la pace, ed è un peccato che questi siano i mezzi che dobbiamo usare per raggiungerla”.

Da quando i social di tutto il mondo hanno messo in atto controlli più accurati per contrastare la disinformazione o, come TikTok, hanno sospeso alcuni loro servizi in reazione alla legge russa contro le fake news, la strategia del Cremlino è passata dal tentativo di controllo di queste piattaforme al loro blocco: da quel momento, per la grande maggioranza dei russi, semplicemente non si sta combattendo nessuna guerra, le sanzioni dell’Occidente non creeranno alcun danno all’economia del Paese, Abramovich ha venduto il Chelsea solo perché era un business per lui poco fruttuoso, e così via.

Meta e i discorsi d’odio contro la Russia

La guerra parallela che si sta combattendo sul web ha portato a decisioni piuttosto controverse anche da parte delle piattaforme di social media. È infatti di queste ore la notizia che Meta allenterà le sue policy sui discorsi d’odio, non rimuovendo post offensivi nei confronti dei militari russi, di Putin e di Lukashenko. A rivelarlo è stata Reuters, dopo aver avuto accesso ad alcune comunicazioni interne all’azienda, rivolte ai moderatori di contenuti, in cui si affermava che l’allentamento delle regole sull’hate speech avrebbe riguardato i seguenti Paesi:  Armenia, Azerbaigian, Estonia, Georgia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Russia, Slovacchia e Ucraina. Nel confermare quanto emerso dai documenti visionati da Reuters, Meta non ha però specificato se le regole si applicheranno effettivamente solo a questi Paesi.

La Russia ha risposto con un tweet della sua ambasciata a Washington, in cui viene chiesto al governo Usa di “fermare le attività estremiste di Meta e prendere misure per portare i responsabili di fronte alla giustizia”.

 

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