Perché l’Occidente deve imparare a fare i conti con Russia e Cina
Vladimir Putin e Xi Jinping hanno prospettive di potere superiori a quelle di qualsiasi leader occidentale. Ecco perché è il caso che Usa e Ue prendano atto che sono interlocutori legittimati con cui trattare. L'analisi di Giampiero Gramaglia
Adesso, siamo certi che, per un bel po’ di tempo, avremo a che fare con loro: con Vladimir Putin, che è stato appena confermato presidente della Russia con una sostegno plebiscitario, persino superiore alle previsioni (intorno al 75 per cento); e con Xi Jinping, che la scorsa settimana s’è visto rinnovare il mandato quasi all’unanimità dal Congresso del Popolo, il Parlamento cinese.
Per Putin, è teoricamente l’ultimo giro: è stato presidente per due mandati quadriennali consecutivi dal 2000 al 2008 e, dopo un giro di valzer col suo premier Dmitry Medvedev – per un quadriennio, s’invertirono i ruoli -, ha ottenuto altri due mandati consecutivi di sei anni dal 2012 al 2024.
Per Xi, al potere dal 2013, siamo al secondo mandato, ma la sua presidenza è ormai teoricamente illimitata, perché sono stati appena aboliti i limiti a successive riconferme.
Putin e Xi, uomini apparentemente senza età – il russo va per i 66 anni, il cinese per i 65 -, ma ben radicati nel loro tempo e nei loro ‘paesi continenti’, hanno prospettive di potere e di governo superiori a quelle di qualsiasi leader occidentale: i mandati di Trump, Macron, la Merkel, la May scadono tutti prima dei loro e sono, per di più, sottoposti a verifiche parlamentari ed elettorali ben più contrastate delle loro.
Con i suoi 24 anni da ‘uomo forte’ della Grande Russia, Putin è il leader russo di maggiore durata dopo la zarina Caterina II, imperatrice 34 anni dal 1762 al 1796, Stalin, dittatore sovietico 29 anni dal 1924 al 1953, e lo zar Pietro il Grande (sul trono dal 1696 al 1724). Leonid Brezhnev guidò l’Urss per 18 anni dal 1964 al 1982.
Sarà, quindi, il caso di prendere atto che gli Stati Uniti e l’Unione europea, la Nato e i nostri singoli stati avranno in Putin – e Xi – interlocutori legittimati da procedure certamente discutibili dal punto di vista delle valenze democratiche, ma comunque espressioni d’una chiara volontà popolare.
E sarà pure il caso di accettare che Russia – e Cina – sono presenze imprescindibili sulla scena mondiale, con cui non basta trattare a sanzioni e dazi.
Invece, l’Occidente accolse fra i Grandi la Russia smarrita e impoverita di Boris Ieltsin, salvo poi cacciare dal G8 la Russia assertiva e prepotente di Putin, capace di angherie sui fronti che Mosca considera interni – dalla Cecenia alla Crimea al Donbass in Ucraina, passando per l’Ossezia e l’Abkazia – e di giocare un ruolo decisivo nel Medio Oriente, specie in Siria, soprattutto a causa delle titubanze e delle latitanze occidentali. E, adesso, le rimprovera – magari legittimamente – ingerenze, cyber-attacchi e ‘spy stories’, come se quei giochi li avessero inventati al Cremlino.
Anche in queste ore, stiamo a fare le pulci alla vittoria di Putin, perché l’affluenza alle urne non sarebbe stata superiore all’obiettivo auto-prefissato del 70 per cento, quando nessuno discute la legittimità, ad esempio, di un presidente degli Stati Uniti scelto dalla metà dei potenziali elettori e, per di più, votato da meno della metà di quelli andati alle urne.
Certo, Putin non ha avversari: un po’ perché quelli che ci sono valgono poco – il comunista col Rolex Pavel Grudinin è stato l’unico oltre il 10 per cento – e un po’ perché quelli più temibili li mette fuori gioco – è il caso del blogger Alexei Navalny -.
“Ci aspettano sfide enormi, serve una svolta”, ha detto Putin una volta rieletto: parole, forse, banali, di circostanza. Sinceri, invece, anche se ironici, i ringraziamenti alla May e all’Occidente, che, con le accuse alla Russia sul caso Skripal, hanno ulteriormente compattato, se mai ve ne fosse bisogno, l’elettorato intorno al presidente. Fra le primissime congratulazioni giunte al Cremlino, quelle di Xi: fra ‘presidenti eterni’, o quasi, ci s’intende.