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Almeno 270mila rohingya sono fuggiti in Bangladesh dalla Birmania

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Una coppia di rifugiati rohingya attraversa il fiume Naf, in Bagladesh per fuggire dalle persecuzioni dei militari birmani. Credit: Mohammad Ponir Hossain/Reuters

È la nuova stima fatta dall'Unhcr sul numero dei rifugiati appartenenti a una minoranza musulmana che fugge dalle violenze dell'esercito birmano

In una conferenza stampa al Palais des Nations a Ginevra, Duniya Aslam Khan, portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), ha detto che nelle ultime due settimane almeno 270mila rohingya si sono rifugiati in Bangladesh fuggendo dalle violenze dell’esercito birmano.

Le Nazioni Unite hanno più volte accusato il governo birmano di aver commesso crimini contro l’umanità nelle proprie offensive militari contro questa minoranza musulmana, presente prevalentemente nello stato settentrionale di Rakhine. L’accusa è stata respinta dalla premio Nobel per la pace e consigliere di Stato Aung San Suu Kyi.

L’Onu ritiene che il governo della Birmania stia compiendo una pulizia etnica ai danni della minoranza, e lo accusa di crimini contro l’umanità. Precedentemente, aveva stimato un numero di rifugiati rohingya pari a 164mila.

Le statistiche sono state aggiornato perché le agenzie umanitarie internazionali hanno scoperto nuovi insediamenti di profughi. Diverse zone scelte dai rohingya per fuggire sono difficili da raggiungere, anche per i soccorritori dell’Onu.

“Si tratta di un numero allarmante”, ha detto Vivian Tan portavoce regionale per l’UNHCR. “I campi profughi in Bangladesh sono pieni fino all’inverosimile e non ce la faranno ad accogliere il flusso di profughi che è in aumento”. Il Bangladesh sta sistemando i rohingya in arrivo lungo strade e terreni nei pressi del confine.

L’Onu ha già stanziato oltre otto milioni di dollari per far fronte all’emergenza, ma questi fondi non sono sufficienti. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha detto che un numero crescente di rohingya sta fuggendo via mare. Soltanto il 6 agosto, 300 barche cariche di profughi provenienti dalla Birmania hanno raggiunto la città bangladese di Cox’s Bazar, vicino la città di Chittagong.

La maggior parte dei profughi sta attraversando il fiume Naf, nella regione costiera della penisola Teknaf nel Bangladesh orientale, che divide il paese asiatico dallo stato federato birmano di Rakhine, dove vive la maggior parte della minoranza rohingya.

“Le rotte marittime sono particolarmente pericolose in questo periodo dell’anno, perché le imbarcazioni rischiano di finire tra le rocce e naufragare”, si può leggere in una dichiarazione dell’OIM.

L’esodo dei rifugiati è iniziato il 25 agosto, quando sono riprese le violenze tra le forze di sicurezza birmane e alcuni miliziani del gruppo paramilitare Arakan Rohingya Salvation Army (Arsa). La guerra aveva visto una fase di tregua non dichiarata tra l’ottobre 2016, quando un’altra serie di attacchi dell’Arsa aveva causato la repressione dell’esercito di Naypyidaw, e il febbraio 2017, quando il governo birmano aveva addirittura annunciato la fine delle operazioni militari nella regione.

La guerra e le discriminazioni portate avanti contro i rohingya in Birmania dura da anni. Fin dagli inizi degli anni Novanta, decine di migliaia di persone sono scappate dai militari e dai nazionalisti buddisti al potere nel paese, rifugiandosi nel confinante Bangladesh, paese a maggioranza musulmana e in alcuni casi attraversando il confine con l’India, paese a maggioranza indù.

A oggi in Bangladesh vivono almeno 400mila rohingya. La presenza di questa comunità rappresenta una fonte di tensione tra le due nazioni asiatiche perché sia il governo di Dacca sia quello di Naypyidaw li considerano cittadini stranieri.

Se però, come affermano le Nazioni Unite, sono quasi 300mila i rohingya giunti nel paese asiatico nelle ultime settimane, questa nazione, una delle più povere della regione, non può da sola far fronte all’emergenza in corso.

Funzionari del governo di Dacca hanno rivelato all’agenzia di stampa Reuters che il Bangladesh sta mettendo a punto un piano per creare un’isola al largo delle proprie coste per poter ospitare temporaneamente le decine di migliaia di profughi rohingya giunti nel paese.

L’attuazione di questa misura, una proposta non nuova in Bangladesh, era già stata criticata dalle organizzazioni umanitarie nel 2015. Dacca però insiste che ha tutto il diritto di decidere da sé dove proteggere i rifugiati e fornire loro assistenza. Secondo una fonte delle Nazioni Unite, il Bangladesh sta rilanciando questo progetto per fare pressione sulla comunità internazionale e non essere lasciato da solo a gestire la crisi. 

Riguardo i rohingya, anche l’India, paese che ospita migliaia di appartenenti a questa comunità, sta cercando una soluzione al problema del flusso di rifugiati. New Delhi è intenzionata a negoziare con i vicini governi di Bangladesh e Birmania la deportazione di almeno 40mila rohingya, che sostiene vivano illegalmente nel paese.

Il governo indiano dice che solo 14mila di loro sono registrati presso l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Esiste quindi un piano per espellere quelli che il governo indiano considera degli immigrati illegali.

L’India non ha comunque mai riconosciuto gli appartenenti a questa comunità come profughi e in ogni caso non ha ancora firmato la convenzione Onu sui rifugiati del 1951 né possiede alcuna legge a livello federale che garantisca i diritti di chi fugge da guerre e persecuzioni. Il problema è che sia il governo birmano che quello indiano e quello bangladese negano la cittadinanza agli appartenenti a questa comunità.

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