“Erdogan dittatore”. Ritorsione turca dopo le parole di Draghi: bloccati contratti alle aziende italiane
Che le parole del premier Draghi sul presidente turco Erdogan (lo ha definito un “dittatore” ndr) avrebbero avuto pesanti ripercussioni sui rapporti tra i due Paesi era più che prevedibile. Meno lo era indovinare il primo settore sul quale si sarebbero evidenziate tali ripercussioni, considerando le tante aree di business in cui in due Paesi collaborano. Quindici miliardi di euro, tanto valgono gli scambi commerciali tra l’Italia e la Turchia. Un rapporto quasi in equilibrio con 7,7 miliardi di euro di export e 7,2 miliardi di importazioni. Certo, le vendite verso il Bosforo sono in calo rispetto agli oltre 10 miliardi che si registravano fino al 2017, ma ridurre i rapporti economici tra Roma e Ankara alla sola Bilancia commerciale sarebbe riduttivo perché l’Italia è il primo investitore estero nel Paese con 48 imprese presenti e attive sul territorio: ci sono le banche da Mps a Unicredit, ma ci sono anche Piaggio e Fiat; c’è Finmeccanica, Barilla, Bialetti, c’è Generali, ma anche Luxottica e Mapei. La presenza tricolore è radicata è copre tutti settori industriali.
Certamente il settore delle armi è tra i più redditizi e anche quello dove la vendetta in salsa ottomana può fare più “danni”. Come scrive Repubblica, la prima a finire nel mirino è stata Leonardo, la holding tecnologica a controllo statale. Dopo due anni di trattative, proprio in questi giorni era prevista la firma del contratto per l’acquisto di dieci elicotteri d’addestramento AW169. Una commessa del valore di oltre 70 milioni di euro, che doveva essere la prima trance di un accordo per sostituire i vecchi Agusta-Bell 206 della scuola delle forze armate turche: l’importo complessivo per l’azienda italiana potrebbe superare i 150 milioni. A fine marzo Ismail Demir, il presidente delle Industrie della Difesa ossia l’ente governativo che gestisce le commesse, aveva annunciato l’accordo con Leonardo. Ma dopo le parole di Draghi i turchi hanno fatto sapere che “al momento” l’operazione è sospesa.
Ma l’ombra di affari sul punto di saltare si proietta anche su altre compagnie nazionali attive in Anatolia. Tra loro ci sono almeno due società private e Ansaldo Energia, proprietaria del 40 per cento di un gruppo che da un anno sta negoziando con banche e autorità turche la gestione dei debiti per centinaia di milioni accumulati dalla centrale elettrica di Gebze, nella zona industriale di Istanbul.
Per il momento le ritorsioni della Turchia non preoccupano. Da Palazzo Chigi, infatti, riferiscono che la diplomazia è all’opera e che non serviranno scuse ufficiali per far rientrare la crisi. E vanno considerati anche gli effetti nefasti di una rottura dei rapporti anche dal versante ottomano: rompere i rapporti con l’Italia per la Turchia significherebbe mettere alla porta il primo investitore diretto del Paese. Secondo gli ultimi dati del Ministero del Commercio turco, lo scorso anno, Ankara ha attratto investimenti diretti esteri (Ide) per 3,9 miliardi di dollari tra gennaio e agosto; circa 3,2 miliardi sono arrivati sul settore dei servizi. L’Italia ha contribuito con 966 milioni davanti agli Stati Uniti (745 milioni) e Regno Unito (439 milioni).
Resta però l’offesa subita e l’intenzione di non far passare la cosa in sordina: la Turchia pretende scuse ufficiali. Basti pensare che nelle ultime ore diversi ministri turchi si sono scagliati contro l’Italia; ad esempio, Mustafa Varank, Ministro dell’Industria, ha dichiarato di “non accettare lezioni di democrazia da chi ha inventato il fascismo”. Poi ha parlato di immigrazione, facendo notare che “l’Italia lascia morire i richiedenti asilo”.
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