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Home » Esteri

Il ritorno della bomba: ecco come l’atomica è passata da tabù a opzione concreta

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Con il conflitto in Ucraina, lo scontro atomico non è più così remoto. E pensare di ricorrere alle armi nucleari è diventato quasi normale

Il 24 febbraio 2022 non è stato semplicemente il giorno in cui è iniziata la guerra in Ucraina. È stato il giorno in cui si è aperto un vaso di Pandora da cui sono usciti spettri, timori che sembravano ormai relegati a un passato superato lasciato definitivamente alle nostre spalle.

Tra il fantasma di una guerra nel nostro continente, quello dello scontro etnico e quello della revisione dei confini tramite un intervento militare, è tornato sullo sfondo l’incubo che ha accompagnato il mondo durante tutta la guerra fredda, quello della bomba atomica.

La Russia, il Paese che il 24 febbraio ha dato inizio a quella che ha presentato come “operazione militare speciale”, lanciando un’offensiva su più fronti contro l’Ucraina, dispone del più grande arsenale nucleare sulla faccia della terra. Ma c’è un altro dettaglio da non sottovalutare: la Russia non ha mai reso palesemente noti i suoi obiettivi in questa guerra. “Demilitarizzare” e “denazificare”, le parole d’ordine con cui Mosca ha lanciato l’invasione, non sono termini facilmente decifrabili.

La questione del Donbass e della sua popolazione russofona rappresenta un obiettivo più chiaro, ma nonostante questa guerra si sia scatenata intorno a quella regione, lo scorso settembre la Russia ha annesso, con controversi referendum non riconosciuti dalla comunità internazionale, ben quattro oblast, che comprendono territori che non erano entrati nei dibattiti prebellici.

La sfuggevolezza degli obiettivi di Mosca nella guerra rappresenta una grande spada di Damocle sull’andamento del conflitto, perché se non è chiaro quale sia il punto al quale potrebbe dirsi soddisfatta, non possiamo nemmeno sapere a che costo sia disposta a raggiungerlo.

Per quanto non consapevoli di quali siano gli obiettivi russi e per quanto Mosca abbia probabilmente raggiunto traguardi da non sottovalutare, come il controllo del mare di Azov, è quasi unanimemente riconosciuto che le aspettative del Cremlino fossero più rosee.

Non possiamo escludere che le premesse di Mosca si siano basate su una duplice scommessa: trovarsi contro un Occidente mai così debole, reduce dalla goffa ritirata statunitense dall’Afghanistan e rimasto senza Angela Merkel, e trovarsi una popolazione ucraina non particolarmente ostile all’arrivo dei russi. Entrambe le aspettative si sono tuttavia rivelate errate.

L’Occidente si è trovato particolarmente compatto nel sostenere l’Ucraina economicamente e militarmente e nel colpire la Russia con sanzioni, anche a costo di rivedere completamente la propria politica energetica.

Questo però ha portato a un sempre più ampio, per quanto non diretto, coinvolgimento della seconda potenza nucleare al mondo, gli Stati Uniti, così come di Regno Unito e Francia, anch’esse dotate di un arsenale atomico. E lo spettro della bomba si è fatto sempre più presente.

L’opposizione ucraina e la compattezza dell’Occidente sono stati così un ostacolo più ostico del previsto per Mosca. Il fatto che non avesse palesato i suoi obiettivi politici e territoriali in questa guerra fa sì che anche le tempistiche previste per raggiungerle possano per noi essere principalmente una supposizione.

Ma è ragionevole supporre che i tempi previsti fossero più rapidi di quelli in cui si è imbattuta, come possiamo intuire dal ricorso alla mobilitazione parziale. Tuttavia, la Russia è un Paese determinato ad affermare il suo ruolo di grande potenza. «Difficile che Putin faccia concessioni», ha chiarito il cancelliere tedesco Olaf Scholz dopo il loro ultimo colloquio, chiarendo che si parla di conquiste territoriali.

Un discorso che l’Occidente avrebbe difficoltà a prendere in considerazione: il riconoscimento di una guerra di conquista potrebbe creare un precedente.

Nessuno ha interesse a fermarsi

Se le moderne armi occidentali inviate a Kiev hanno contribuito a una serie di successi ucraini, come le recenti controffensive a Kharkhiv e Kherson, la Russia è pur sempre una potenza militare con un esercito numericamente superiore a quello ucraino, con la possibilità di mandare altre persone al fronte (pur con tutte le potenziali conseguenze, anche interne, del caso).

L’Ucraina ritiene possibile ottenere ancora importanti risultati sul campo di battaglia, puntando soprattutto sul sostegno militare occidentale, sull’effetto delle sanzioni contro Mosca e su un momento favorevole dopo gli ultimi importanti risultati ottenuti. Così come l’Occidente teme che allentare gli aiuti rischi di non rendere più sostenibile per Kiev combattere.

La Russia, però, vede anche lei la possibilità di ottenere risultati importanti, complice il fatto di aver mobilitato solo una parte della popolazione, confidando che gli ucraini finiscano per arrendersi piegati dagli attacchi alla rete energetica e l’Occidente decida di ammorbidire il sostegno a Kiev a causa dell’aumento dei prezzi dei beni primari. Ma se nessuno dei due ha interesse a smettere di combattere, tutti i rischi connessi alla guerra aumentano.

Rischio escalation

Se a sostenere militarmente l’Ucraina c’è l’invio di armi da parte della Nato, la Russia si è rivolta a un suo storico alleato, l’Iran, per rifornirsi e ottenere sostegno. Ma più realtà sono coinvolte, più alto è il rischio che altri conflitti si sovrappongano a quello ucraino.

Ed è anche per questo che Israele, Stato alleato degli Stati Uniti ma storicamente in buoni rapporti con Mosca, di fronte al crescente coinvolgimento del suo principale avversario ha aumentato il suo livello di allarme rispetto al conflitto.

Ma potremmo parlare anche dei volontari ceceni e georgiani che combattono al fianco di Kiev, i primi oppositori del fedelissimo di Putin, Ramzan Kadyrov, e i secondi che vedono nel Donbass una situazione simile a quella delle repubbliche di Ossezia del Sud e Abkhazia.

Quale che sia la posizione di ciascuno su questa guerra, dobbiamo avere tutti chiaro che più armi ci sono, più soggetti vengono coinvolti, più cresce il pericolo di un’escalation. Perché tutto questo, oltre a continuare a uccidere civili innocenti, aumenta il rischio di colpire nuovi bersagli, di commettere errori dal potenziale devastante, di far finire armi in mano a gruppi in grado di agire in autonomia. Facendo perdere il controllo della situazione.

Lo abbiamo visto lo scorso 15 novembre quando un missile, rivelatosi poi della contraerea ucraina, ha colpito il villaggio polacco di Przewodow uccidendo Boguslaw Wos e Bogdan Ciupek (li chiamiamo per nome perché troppe volte sono stati ridotti a una statistica). Per alcune ore si è pensato che il missile fosse russo e che fossimo di fronte a uno scontro diretto Russia-Nato, con tutte le conseguenze del caso, tra cui il concreto rischio di un’escalation nucleare.

La bomba diventa un’opzione

La dottrina militare russa prevede di non usare l’atomica per primi in una guerra, a meno che l’esistenza e l’integrità territoriale del Paese non siano minacciati. Chiaramente questo concetto può adattarsi a diverse situazioni. In tanti si sono domandati se offensive via terra su territori annessi unilateralmente dalla Russia rappresentino o meno agli occhi di Mosca una minaccia all’esistenza del Paese, e se il crescente sostegno all’Ucraina da parte della Nato con armi sempre più potenti possa andare in questo senso e portare la Russia a valutare l’opzione nucleare.

Più volte lo spettro atomico è stato sfiorato. Putin è sempre stato abile ad accarezzare il discorso senza esplicitarlo. Ha parlato dell’arsenale russo e della possibilità di usarlo, e anche se non ha parlato apertamente dell’atomica, quel «non è un bluff» pronunciato mentre annunciava la mobilitazione parziale lo scorso settembre ha fatto tremare il mondo. Nei programmi tv russi si è parlato di atomica, come lo ha fatto l’ex presidente Dimitry Medvedev.

Il leader ceceno Ramzan Kadyrov, dopo la sconfitta a Lyman, ha detto che Mosca avrebbe dovuto valutare l’uso di un ordigno nucleare a bassa intensità.

La Russia, tuttavia, ha più d’una volta notato come una guerra nucleare vada evitata a tutti i costi perché non avrebbe vincitori. Lo stesso Putin lo ha esplicitato nel suo messaggio alla scorsa conferenza del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Gli Stati Uniti sono dello stesso avviso, ma a Washington si ragiona anche su come comportarsi se la Russia dovesse usare l’atomica.

In questo senso il più esplicito è stato il generale in pensione David Petraeus, che ha detto che servirebbe una risposta forte ma con armi convenzionali, come la distruzione della flotta russa del Mar Nero o di tutti gli equipaggiamenti di Mosca in Ucraina.

I numerosi rapporti che vengono diffusi da quando è iniziata questa guerra definiscono l’opzione nucleare come “unlikely”, difficile. Tuttavia, il fatto che se ne parli sempre più apertamente, che si discuta delle sue possibili conseguenze e delle contromisure da prendere l’ha trasformata da tabù a opzione.

Comunque dovesse concludersi questa guerra, tra le sue conseguenze rischia di esserci anche questa: avere nel proprio arsenale un’arma in grado di colpire l’altro capo del mondo in pochi minuti e uccidere milioni di persone con una singola esplosione possa essere considerato qualcosa di normale.

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