Reportage TPI – La guerra sotto l’ombrellone: così gli ucraini sfidano le bombe sulle spiagge di Odessa
La stagione balneare era rimasta un miraggio dopo l’invasione russa. Ma quest’anno Kiev ha allentato le restrizioni e una ventina di stabilimenti ha riaperto. Così migliaia di turisti si sono riversati sul bagnasciuga, incuranti del pericolo delle mine e dei raid aerei. “Che dovremmo fare, piangerci addosso?”, sbotta la barista Alina, ex rifugiata a Milano. “Eravamo a Bucha sotto l’occupazione”, ci spiega Ivan, venuto in città per il weekend. “Non saranno certo le mine a spaventarci”. "Qui accogliamo 1.500 persone al giorno”, ci rivela Dyma, direttore del Red Line. “In caso di emergenza c’è un rifugio antiaereo. Ma dobbiamo mostrare al nemico che per noi la vita va avanti"
Come ogni spiaggia che si rispetti, quella di Odessa ad agosto inoltrato ha tutte le sembianze di un formicaio in piena attività. C’è chi si sfiata nel tentativo di gonfiare un materassino a forma di cigno, chi sfoggia un corpo abbrustolito perché ha scordato di spalmarsi la crema solare, e chi esce a nuoto al largo per raggiungere una secca. Tra il bar e le cabine, ci sarebbero anche dei cartelli che elencano i diversi tipi di esplosivo che si possono trovare in acqua, ma nessuno sembra farci caso. E quando le sirene provano a mettere in guardia i bagnanti contro un possibile raid aereo, la loro litania viene soffocata dai decibel emessi dalle casse di un chiosco in riva al mare: nessuno pensa ad abbandonare il bagnasciuga.
Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, la stagione balneare di Odessa – perla del Mar Nero – è rimasta a lungo un miraggio. La minaccia di un’invasione anfibia da parte dei russi ha trasformato le spiagge in campi minati allestiti dagli stessi ucraini per impedire lo sbarco di navi nemiche. Poi, nell’estate 2023, l’esplosione della diga Nova Kakhovka ha portato alle stelle il livello di tossine nelle acque, provocando il più grande disastro ambientale avvenuto in Ucraina dopo quello di Chernobyl. Alla rottura degli argini della diga, l’acqua del fiume Dnipro ha trascinato nel Mar Nero anche le mine che erano state posizionate dai russi nei pressi di Kherson.
Voglia di ricaricarsi
Nonostante questo, per gli abitanti di Odessa è il momento di tornare alla vita. A giugno 2024, molte restrizioni sono state allentate e le autorità hanno permesso la riapertura di una ventina di stabilimenti. «Le persone non possono essere fermate. Vogliono rilassarsi, ricaricare le batterie», ha affermato lo scorso 6 giugno il governatore dell’oblast di Odessa, Oleh Kiper, durante una conferenza stampa che sanciva ufficialmente l’inizio della stagione balneare. «Le nostre vitamine naturali sono il sole, il Mar Nero e le nostre spiagge. Non possiamo rimpiazzarle con nessun altro tipo di vitamina», ha detto Kiper. E in effetti, anche i turisti venuti da tutta l’Ucraina hanno affollato le spiagge. Anche se i raid aerei sulla città non si sono mai interrotti e il nemico rimane a meno di un centinaio di chilometri di distanza. Soltanto nel mese di agosto si sono verificate 55 allerte per i raid aerei: le sirene suonano soprattutto dopo la mezzanotte e i media locali hanno contato undici esplosioni.
«Che cosa dovremmo fare, rimanere a casa a piangerci addosso?», sbotta Alina, 30 anni, mentre serve i clienti che fanno la fila al bancone dello stabilimento “La Veranda”. Parla italiano con uno smaccato accento del nord: «Sono stata accolta a Milano quando è scoppiata l’invasione su larga scala, ma dopo un anno ho deciso di tornare in Ucraina». E non è l’unica ad averlo fatto: come Alina, quasi due terzi degli ucraini che avevano trovato rifugio in Europa hanno scelto di far ritorno al loro Paese di origine. «Ormai ci siamo abituati a stare in pensiero. E poi adoro la vita che si fa qui», chiosa la barista.
Odessa, in effetti, è il posto perfetto per mettere da parte le preoccupazioni terrene. Non a caso, il quartiere più “in” della città si chiama Arcadia, dal nome della terra mitologica dove il genere umano viveva in perfetta armonia con la natura. È qui, sul lungomare, che si concentra il maggiore afflusso turistico: un susseguirsi interminabile di caroselli, gonfiabili, parchi acquatici e tiri a segno che si affacciano sulla spiaggia. A pochi metri e neanche troppo nascosti si scorgono i generatori a diesel, che permettono a bar e ristoranti di rimanere aperti durante i blackout e ricordano ai bagnanti che la guerra non è sopita.
Rischi concreti
Su uno dei tanti pontili che punteggiano la costa, un manipolo di ragazzi fa a gara di tuffi. In realtà, l’estremità è chiusa da una recinzione e un cartello avverte che è proibito fare il bagno: da lì si accede ad acque più profonde e per questo pericolose, ma qualcuno ha divelto la recinzione e il gruppo di amici sembra divertirsi un mondo. «Siamo rimasti a Bucha durante l’occupazione russa. Non saranno certo le mine a spaventarci», racconta Ivan, un 20enne con le treccine da rapper. Dice di avere abbandonato la scuola e anche se a Bucha, teatro del crudele massacro, le cose vanno leggermente meglio, la normalità è ancora lontana. «Siamo venuti a Odessa per passare il weekend. Per bere qualcosa e per ballare. Magari riusciamo a incontrare qualche ragazza», racconta suscitando le risate di tutta la comitiva.
Sono ventenni come tutti gli altri, ma si ritrovano all’interno di una partita strategica per lo svolgimento della guerra. L’80 per cento delle esportazioni ucraine infatti viaggia attraverso le infrastrutture portuali disseminate lungo la baia di Odessa e proprio qui, nei silos del porto e nelle navi cargo, si trova il cuore del cosiddetto “granaio d’Europa”. Prima della guerra circa 6,5 milioni di tonnellate di grano partivano per l’estero ogni mese, contribuendo a sfamare oltre 400 milioni di persone. Per l’esercito russo, infatti, il porto di Odessa rimane il principale obiettivo da abbattere. Nei giorni buoni, la contraerea riesce a intercettare i missili di Putin mentre transitano in volo, come è successo lo scorso 11 agosto, quando le sirene hanno iniziato la loro litania intorno alle 7 di sera e dopo pochi minuti, un singolo boato ha suggellato la fine dell’allerta. Soltanto tre giorni più tardi però, il 14 agosto, un missile è andato a segno a 200 metri dalla scalinata Potemkin: «L’obiettivo dell’aggressore era l’infrastruttura civile del porto», ha scritto il governatore Kiper sul suo canale Telegram, annunciando il ferimento di due donne e del conducente di un tir che trasportava grano.
L’attacco non ha rovinato il ferragosto né impedito a cittadini e turisti di affollare le spiagge. «Rispetto agli scorsi anni, tante persone sono tornate al mare», racconta Dyma, 41enne di Odessa e direttore del Red Line, uno degli stabilimenti più grandi della città con un risto-bar che di notte si trasforma in discoteca. «Accogliamo circa 1.500 persone al giorno», sostiene il direttore della struttura, aggiungendo che in caso di emergenza c’è «un rifugio antiaereo che si può raggiungere in pochi secondi». Godersi un po’ di relax in riva al mare è fondamentale, perché «se il nemico ci vede chiusi in casa, ha già vinto. Dobbiamo mostrargli che la nostra vita va avanti», afferma. E quando i clienti sono stufi di immergersi nelle acque del Mar Nero, possono fare il bagno in una delle tre piscine: la più grande è sovrastata da un imponente cannone che entra in azione il sabato. Ma solo per lo schiuma party.
Secondo Dyma le mine non sono più un motivo di preoccupazione, perché le motovedette ucraine pattugliano le acque al largo, scandagliando i fondali con apparecchiature sonar. Tuttavia, in un rapporto stilato quest’estate, Greenpeace avverte che la presenza di mine antinave costituisce ancora oggi un pericolo concreto: si tratta di ordigni potentissimi, pesanti 150 chili ognuno, con un nucleo di venti chili di tritolo. «Dall’inizio della guerra fino al febbraio del 2024 sono state neutralizzate 94 mine durante operazioni di bonifica del Mar Nero», riferisce l’ong, chiarendo che «la media è di una mina “neutralizzata” ogni settimana dall’inizio dell’invasione su larga scala». Di norma vengono assicurate ai fondali marini con delle ancore, ma quando la scorsa estate la diga Nova Kakhovka – che tratteneva all’incirca 18 miliardi di metri cubi d’acqua – è esplosa, molte si sono staccate e hanno iniziato ad andare alla deriva lungo il fiume Dnipro, sfociando nel Mar Nero.
Insieme alle mine, la rottura degli argini ha propagato nelle acque centinaia di tonnellate di agenti chimici tra i quali petrolio e, secondo gli ucraini, antrace. Le autorità ucraine sostengono di aver effettuato diversi test e che i valori delle tossine nell’acqua sono rientrati nella norma, ma la stagione balneare ha rischiato comunque di essere annullata. ll 29 aprile scorso, infatti, una settimana prima della riapertura degli stabilimenti, un missile Iskander si è infranto sul lungomare di Odessa, a meno di tre chilometri da lettini e ombrelloni, causando sette morti e una trentina di feriti tra la popolazione civile. Secondo Human Rights Watch, in quell’occasione il missile è stato caricato con munizioni a grappolo: un fatto senza precedenti ad Odessa, che molti hanno letto come un monito per l’estate in arrivo.
Soldati in congedo
Ma neanche le bombe a grappolo sono riuscite a scalfire la volontà degli ucraini di tornare al mare, anche se con qualche limitazione. «Dobbiamo andare avanti, sì, ma con rispetto. Le feste di adesso non sono come quelle di una volta», sostiene Dyma, spiegando che la legge impone di spegnere la musica alle 10 e di cessare la vendita di alcol alle 11. E se durante i primi mesi di guerra molti ucraini guardavano con diffidenza chi si lasciava andare ad attività di svago, «adesso è tutto diverso. Ci sono tanti soldati in licenza che vengono da noi. Gli offriamo uno sconto speciale», racconta, perché «anche loro hanno bisogno di riposarsi mentalmente».
E in effetti, basta osservare il bancone del suo stabilimento dopo il tramonto per avere la conferma di quanto afferma: un gruppo di cadetti dell’accademia militare di Odessa si accalca per ordinare da bere e festeggiare il ritorno di un amico dal fronte. «Sono in licenza per un mese», dice con un sorriso sornione Maksim – nome di fantasia – 23enne originario di Mykolaiv. Nonostante la giovane età, è già un sergente e ha combattuto lungo i fronti più caldi, da Kharkiv a Kherson, mentre nelle primissime ore dell’invasione era tra i soldati ucraini che hanno respinto il tentativo russo di conquistare l’aeroporto di Hostomel, alle porte di Kiev.
Appoggiato al bancone del bar, Maksim ordina uno shot B52, come il bombardiere americano dei tempi della Guerra Fredda, prima di mostrare le foto sul cellulare che lo ritraggono pronto a entrare in azione. Passamontagna calcato sul volto, mitragliatore imbracciato e caricatori di riserva nelle tasche del giubbotto antiproiettile. «Non provo né paura né altro. Sento di doverlo fare per il mio Paese e basta», dice Maksim, aggiungendo di essere molto preoccupato dalle prospettive economiche ucraine. Anche per questo, è felice che la sua famiglia abbia raggiunto l’Europa: «Mia madre, mio fratello e mia sorella sono rifugiati in Germania. Qui purtroppo non ci sono molte prospettive per loro».
Vie di fuga
Accanto ai soldati in licenza, distesi sui lettini sotto gli ombrelloni ci sono anche uomini che rientrano nella fascia di età arruolabile dall’esercito ucraino. E che nell’esercito, invece, non sono mai stati. «Se non ti arruoli come soldato, puoi comunque fornire il tuo aiuto come volontario in qualche maniera», dice il giovane sergente. «Ma se non fai nessuna delle due cose, provo soltanto odio per te. Questo tipo di persone pensa che la guerra non li riguardi e che non li toccherà mai da vicino. Ma non sanno cosa riserverà il futuro».
Di fatto l’esercito ucraino, benché galvanizzato dall’incursione nei territori russi di Kursk, è a corto di soldati. Il presidente Zelensky ha abbassato a 25 anni il requisito anagrafico per la leva militare imponendo una legge ben poco popolare. Tanto che sulle pagine di un giornale di Odessa vengono pubblicizzate le consulenze dello studio legale Aktum, che aiuta gli ucraini a ottenere il rinvio dal servizio militare. «Abbiamo aiutato più di 60mila ucraini in questo campo», afferma Ruslan, avvocato 42enne che vanta «un tasso di successo che si aggira intorno al 95 per cento». Si tratta di diritti importanti, sostiene Ruslan, ed è importante che vengano rispettati, anche durante la guerra. «Sembra controproducente, ma in realtà lo Stato si tutela attraverso queste eccezioni. Se un padre con tre bambini piccoli muore in guerra, sarà il governo a pagare di tasca sua per sfamarli» spiega Ruslan.
Mentre gli avvocati dello Studio Aktum forniscono consulenze nel pieno rispetto della legalità, esiste anche un mercato nero per le esenzioni. Il prezzo, secondo gli stessi avvocati, si aggirerebbe intorno ai 3.500 dollari. Ma non è detto che i disertori vengano visti da tutti come criminali. «Ci sono un sacco di persone che fuggono dall’esercito, ma io le capisco», racconta Yuri, uno dei ragazzi della comitiva di Bucha facendosi serio in volto. «Mio padre e mio fratello sono veterani di guerra. Hanno combattuto nella regione di Donetsk e sono tornati a casa dopo essere stati feriti al fronte. È stata molto dura per loro», confida il giovane, che poi aggiunge: «Un domani non vorrei finire nell’esercito. Preferirei aiutare il mio Paese in qualche altra maniera».