Vaccini: a più di un anno da Brexit, il Regno Unito riapre mentre l’UE prepara altre restrizioni
Vaccini: a più di un anno da Brexit, il Regno Unito riapre mentre l’UE prepara altre restrizioni
La scorsa domenica 28 marzo a Londra sono stati riportati zero decessi per Covid-19. Si tratta della seconda volta da inizio anno, nella città in cui finora è stato registrato il 12 percento dei decessi per Covid-19 di tutto il Regno Unito.
A meno di un anno e mezzo da Brexit e dallo scoppio della pandemia di nuovo coronavirus, il successo della campagna di vaccinazione del Regno Unito è riuscito a far dimenticare la difficile gestione della pandemia nel 2020, a cui a inizio gennaio è seguito un terzo lockdown per limitare la diffusione di una nuova variante più contagiosa. Mentre il paese segue il programma per le riaperture annunciato a febbraio, la popolarità del primo ministro Boris Johnson continua a recuperare terreno dopo il brusco calo della seconda metà dell’anno scorso.
Al di là della Manica il clima è ben diverso. I principali governi europei stanno ancora valutando restrizioni per limitare la diffusione della nuova variante inglese, mentre le vaccinazioni continuano a crescere a un tasso inferiore rispetto a Regno Unito e agli Stati Uniti, nonostante il forte vantaggio già accumulato.
Al 28 marzo, l’UE ha vaccinato solo il 10,9% della sua popolazione (il 10,7% in Italia), mentre nel Regno Unito il 44,9% ha ricevuto almeno una dose, un divario che continua ad allargarsi nonostante il tentativo di imprimere un’accelerazione nelle vaccinazioni. In quanto a popolazione interamente vaccinata, la differenza tra Unione Europea e Regno Unito è minore, con tassi rispettivamente del 4,6 per l’UE (4,9% per l’Italia) e del 5,4% per il Regno Unito, entrambi lontani dal 15,4% degli Stati Uniti e dal 54,5% di Israele, secondo i dati riportati dall’iniziativa Our World in Data dell’università di Oxford.
La differenza è dovuta principalmente a ritardi nelle forniture di vaccini, in particolare di quello della casa farmaceutica anglo-svedese AstraZeneca, che ha consegnato all’UE un terzo di quanto previsto per il primo trimestre, senza che le spedizioni in Regno Unito abbiano subito ritardi altrettanto significativi. Dopo aver accusato la società di aver violato il contratto, le autorità europee hanno minacciato di limitare le esportazioni di vaccini prodotti nell’Unione, una posizione in netto contrasto con i principi fondanti dell’UE oltre a essere di difficile applicazione in una filiera tanto complessa. Il vaccino della società tedesca BioNTech, ad esempio, viene prodotto dalla casa farmaceutica statunitense Pfizer e richiede richiede 286 materiali da 86 fornitori in 19 paesi diversi, tra cui lo stesso Regno Unito.
Un’ipotesi che è stata condannata dallo stesso Jean-Claude Juncker, precedessore dell’attuale presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, secondo il quale minacciare i divieti alle esportazioni potrebbe causare “gravi danni alla reputazione” dell’UE.
I ritardi e le sospensioni intermittenti della somministrazione del vaccino in relazione a rischi di coaguli hanno esposto von der Leyen e le autorità dell’Unione a dure critiche, spingendo alcuni analisti a osservare come le scelte in materia vaccinale da parte dell’UE potrebbero arrivare a dare alle popolazioni degli stati membri un motivo razionale per opporsi all’ulteriore integrazione europea.
Il Regno Unito apre e l’Europa si prepara a richiudere
Come parte della roadmap annunciata il 22 febbraio, da lunedì 29 marzo in Regno Unito sono consentiti gli assembramenti all’aperto fino a sei persone o due famiglie e la ripresa le attività sportive ricreative, dopo che l’8 marzo erano state anche riaperte le scuole. Secondo la roadmap, altre restrizioni saranno allentate dal 12 aprile, quando saranno riaperti i negozi al dettaglio e i pub, e saranno eliminate il 21 giugno.
Quella del Regno Unito rimane però un’eccezione tra i principali paesi europei, che invece si stanno indirizzando verso un prolungamento delle misure o anche l’introduzione di nuove restrizioni.
In Germania la cancelliera tedesca Angela Merkel ha annunciato domenica scorsa che potrebbero essere introdotte nuove restrizioni per frenare la diffusione del nuovo coronavirus, accentrando maggiormente il potere decisionale, dopo essersi scusata la settimana scorsa per aver prima annunciato e poi rinunciato a nuove misure per le festività pasquali. In un’intervista all’emittente pubblica ARD, Merkel ha dichiarato che un maggior numero di persone dovrà lavorare da casa e sarà necessario somministrare più tamponi a chi lavora, aggiungendo che per poter riaprire le scuole sarà necessario testare due volte a settimana “anche se non è molto”.
In Francia il presidente Emmanuel Macron sta valutando se introdurre nuove restrizioni, mentre continuano a crescere i ricoveri in terapia intensiva, che con 4.974 posti occupati hanno superato i livelli del secondo lockdown imposto a novembre. In un editoriale pubblicato nel Journal du Dimanche, un gruppo di 41 medici dell’Île de France, la regione di Parigi, hanno avvertito di essere “quasi certi” che nelle prossime due settimane saranno superate le capacità in termini di letti di terapia intensiva, costringendoli a sottoporre a triage tutti pazienti, Covid e non, per scegliere quali far accedere in terapia intensiva.
In Italia, dove in tutte le regioni sono imposte le restrizioni previste per i due massimi livelli di rischio, è stata introdotta una quarantena obbligatoria di cinque giorni sui visitatori dall’Unione Europea. Negli scorsi giorni anche la Germania ha annunciato che richiederà un certificato di negatività al tampone a chi entra per via aerea nel paese mentre la Spagna ha esteso le restrizioni per i viaggi non essenziali fuori dal paese fino al 30 aprile.