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Home » Esteri

Il caso del rapporto ritirato dall’Onu che accusa Israele di apartheid contro i palestinesi

Immagine di copertina

Il documento è stato revocato dopo la pubblicazione per irregolarità formali, portando alle dimissioni della direttrice dell'Escwa. Ma cosa conteneva il report?

In un documento presentato il 15 marzo 2017 la Commissione economica e sociale delle Nazioni Unite per l’Asia occidentale (Escwa) ha accusato Israele di aver stabilito un “regime di apartheid che opprime e domina il popolo palestinese”. Il ritiro del documento, avvenuto pochi giorni dopo, ha comportato molte polemiche che non sembrano placarsi.

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Il caso

Il rapporto chiamato Israeli Practices towards the Palestinian People and the Question of Apartheid è stato ritirato dal sito delle Nazioni Unite.

“Il problema non è relativo ai contenuti ma alle modalità, non essendo stato consultato il segretario generale prima della pubblicazione del documento”, ha affermato il portavoce del segretario generale dell’Onu, Stephane Dujarric.

Alcuni commentatori non sembrano essere d’accordo, sostenendo che in realtà sono state soprattutto le pressioni esercitate da Israele e dall’ambasciatrice americana presso le Nazioni Unite Nikki Haley a far sì che il documento venisse ritirato.

“Quando qualcuno pubblica un rapporto diffamatorio in nome dell’Onu, è appropriato che si dimetta”, ha detto Haley dopo il ritiro del report. “Le agenzie delle Nazioni Unite devono fare un lavoro migliore nell’eliminare i lavori falsi e nutriti di pregiudizi, e io applaudo la decisione del segretario generale di prendere le distanze da questo documento”.

“La decisione del segretario generale è un passo importante per mettere fine ai pregiudizi contro Israele alle Nazioni Unite”, ha commentato invece l’ambasciatore di Israele all’Onu Danny Danon. “Gli attivisti anti israele non hanno posto al Palazzo di Vetro”.

L’ormai ex direttrice dell’Escwa Rima Khalaf afferma che aveva chiesto al segretario generale di non ritirare il report, ma Dujarric ha insistito sulla sua posizione, spingendola in tal modo a dimettersi e ad affermare: “Sostengo tutte le conclusioni del rapporto ed è mio dovere non nascondere un crimine”.

Qual è il contenuto del report

Ufficialmente i contenuti del report non sono mai stati messi in discussione, nemmeno dal segretario generale Onu, e dunque le pesanti accuse di apartheid nei confronti di Israele rimangono.

Gli autori del documento, Virginia Tilley, professoressa dell’Università dell’Illinois e Richard Falk, inviato speciale dell’Onu sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi e professore emerito della Princeton University, paragonano ripetutamente le politiche dello stato israeliano nei confronti dei palestinesi a quelle del Sudafrica segregazionista, ricordando come i crimini di apartheid siano secondi per gravità solamente a quelli di genocidio.    

I due ricercatori, che rigettano ogni forma di antisemitismo, nel rapporto elencano una serie di politiche israeliane che rientrano coerentemente nella definizione di atti disumani della Convenzione dell’apartheid del 1973. Esempi di tali atti disumani sono l’oppressione a cui i cittadini palestinesi di Israele sono sottoposti “per il fatto di non essere cittadini ebrei” o le discriminazioni che i palestinesi di Gerusalemme Est subiscono quotidianamente nell’accesso alla sanità, alla residenza e per il fatto di essere soggetti a espulsioni e demolizioni illegali delle loro case.

Un altro elemento che spinge gli autori a definire Israele uno stato di apartheid deriva dal fatto che nel paese i matrimoni misti tra ebrei e non ebrei sono proibiti per legge e la libertà di espressione in Cisgiordania è gravemente attaccata poiché “ogni giornale palestinese deve richiedere un permesso militare e ogni articolo dev’essere pre-approvato dalla censura militare israeliana”.

Il diritto alla libertà di riunione e di associazione pacifica è negato dalla legislazione militare di Israele, che vieta assembramenti pubblici di dieci o più persone sul territorio palestinese se non previamente autorizzati da un permesso di un comandante militare. Per di più molti giornalisti o semplici attivisti palestinesi sono sottoposti a incarcerazioni senza processo, vengono torturati e in alcuni casi subiscono uccisioni extragiudiziali.

Israele è inoltre accusata di negare sistematicamente il diritto alla libertà di movimento dei palestinesi a causa dei checkpoints, delle strade percorribili dai soli cittadini ebrei e del noto muro di segregazione in Cisgiordania. Un elemento centrale del regime di apartheid imposto dallo Stato ebraico è connesso alle sue politiche di “ingegneria demografica” che concedono agli ebrei di tutto il mondo il diritto di entrare in Israele e ottenere la cittadinanza israeliana a prescindere dal loro paese di origine, senza dover dimostrare precedenti legami con Israele. Questo stesso diritto è negato ai milioni di profughi palestinesi espulsi con la nascita dello Stato ebraico, in possesso di certificati di proprietà che documenterebbero il loro legame con il paese.

Per tutte queste ragioni la commissione delle Nazioni Unite raccomanda alla comunità internazionale di cessare ogni collaborazione con Israele poiché “mantiene un regime di apartheid ai danni della popolazione palestinese” e invita gli Stati e le Nazioni Unite a cooperare per sconfiggere ogni forma di segregazione razziale. Ispirandosi all’esperienza del Sud Africa la commissione chiede che “i governi nazionali e la società civile si impegnino nel sostenere il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni” contro Israele.

*articolo a cura di A. A.

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