Quelle comunità che raccontano la storia: cosa ne resterà dopo la guerra?
Se prendessimo una mappa etnica dell’Europa di inizio Novecento ci accorgeremmo come i confini tra le diverse etnie siano molto labili, ben difficili da definire, al punto da perdersi in piccole chiazze di colore difficili da comprendere a occhio nudo. Gli imperi, infatti, pur con un’etnia dominante spesso presente, erano caratterizzati da questa varietà di comunità e da una loro convivenza talvolta pacifica, talvolta no, che con la nascita degli stati nazione e dopo la Prima Guerra Mondiale è arrivata a essere insostenibile.
Oggi, se prendessimo una mappa etnica, vedremmo che la situazione si è molto più uniformata ai confini nazionali, al netto di numerose minoranze ancora esistenti. Per quanto esistano numerose cause autonomiste e indipendentiste che trovano ampio spazio nelle cronache, esistono minoranze molto meno famose, spesso residuo del crogiuolo etnico che erano gli imperi all’inizio del Ventesimo secolo. Un esempio interessante lo offre Patrick Leigh Fermor, nel suo libro “Mani” sull’omonima penisola del Peloponneso, quando dedica ben due pagine a un elenco delle innumerevoli comunità greche e affini sparse per il Mediterraneo e il resto del mondo, residui delle colonie della Grecia antica, dell’Impero Romano d’Oriente e delle popolazioni che erano stanziate nell’Impero Ottomano. Erano, perché dopo la guerra greco-turca i due Paesi si accordarono per un drammatico scambio di popolazioni, in cui fu chiesto a ciascun greco e turco di recarsi nel proprio Paese di riferimento.
Tra queste comunità elencate da Leigh Fermor ce ne sono due che in questi giorni non possono passare inosservate: si tratta dei Lasi di Mariupol e dei greci del mar d’Azov. Se dei primi oggi non si ha praticamente notizia, ben diversa è la storia dei secondi, anche loro ben presenti a Mariupol e nei luoghi vicini. Nel dramma che quella città sta vivendo, con 100 mila persone intrappolate senza acqua corrente né elettricità in una battaglia strada per strada, non c’è tempo per soffermarsi sulla storia né sul futuro di queste comunità. I greci di Mariupol sono lì da tempo immemore, nemmeno gli storici sono in grado di dire con certezza se siano figli delle colonie della Grecia antica o dell’impero di Costantinopoli, e prima dello scoppio della guerra costituivano circa il quattro per cento della popolazione della città, raggiungendo percentuali più alte in alcuni villaggi limitrofi. Che ne sarà di loro? Alcuni hanno trovato riparo in Grecia, altri temiamo abbiano fatto la fine che possiamo immaginare, e non sappiamo se quando ci sarà pace a Mariupol ci sarà modo di ricostituire questa antica comunità che racconta una storia. E come lei, in Ucraina, la storia di movimenti di popolazione, di imperi, di nazioni e di decadenze la raccontano tante città, da quella che noi chiamiamo Leopoli ma che negli anni si è chiamata Lviv, Lemberg e Lwow, fino a Berehove o Cernauti. Storie che vivono in comunità che non sembrano trovare spazio in un conflitto nato anche facendo leva su questioni etniche, e che oggi rischiano di perdersi in questo dramma.