Mondiali, armi, gas e militari: così l’Italia si inchina all’emiro del Qatar
Diritti negati. Danni al clima. Donne discriminate. Ma a Roma non interessa cosa accade nell'Emirato. Gli azzurri non si sono qualificati. Però ai Mondiali schieriamo 560 soldati. Al modico prezzo di 10 milioni di euro. Nulla rispetto alle vendite di armi di Leonardo e agli affari di Eni sul gas
La nazionale azzurra è la grande assente dei Mondiali di calcio che si tengono quest’anno in Qatar, ma l’Italia è a suo modo presente nella tanto attesa kermesse sportiva ed in generale nel ricco Paese del Golfo. Roma vanta un rapporto oramai consolidato con l’Emirato nel settore energetico e commerciale ma anche militare, come dimostrano non solo i numeri dell’export e gli accordi di cooperazione, ma anche lo schieramento di quasi 600 militari in occasione della Coppa del Mondo Fifa. Un evento, quello in corso dal 20 novembre al 18 dicembre, che passerà alla storia per il numero di morti tra gli operai che si sono occupati della realizzazione degli impianti e per i suoi elevati costi ambientali, nonostante il tentativo di presentare la kermesse come la prima a impatto zero.
Le polemiche sullo sfruttamento del lavoro, sui costi ambientali del progetto o sulle già note violazioni delle libertà e dei diritti umani nel piccolo Paese del Golfo non sono infatti bastate per far sì che l’Italia prendesse le distanze dall’evento, soprattutto a seguito della mancata qualificazione della nazionale. Roma infatti ha inviato 560 militati in Qatar per contribuire alla sicurezza dei Mondiali insieme alle Forze armate qatariote e ai contingenti di altri tredici Paesi, tra cui Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Pakistan e Turchia.
Una pattuglia costosa
I militari italiani, presenti con l’operazione “Orice”, sono guidati dal comandante della Brigata “Sassari”, Giuseppe Bossa, e le loro operazioni si svolgono sotto il coordinamento del Comando operativo di vertice interforze della Difesa (Covi), guidato dal generale di corpo d’armata Francesco Paolo Figliuolo.
Come specificato dallo Stato maggiore della Difesa, compito delle forze italiane è quello di affiancare i colleghi qatarioti nella vigilanza dell’evento, ma i militari devono anche essere pronti a intervenire in situazioni di emergenza o in caso di atti ostili contro infrastrutture critiche legate ai Mondiali e non solo, come porti, aeroporti, complessi industriali, centri commerciali e luoghi affollati.
Nello svolgimento del loro compito, l’Esercito può contare sulle Unità specialistiche per la difesa da minaccia chimica, biologica, radiologica e nucleare e unità cinofile, mentre la Marina, cui spetta il compito di vigilare sulle acque internazionali al largo di Doha e sullo spazio subacqueo, ha schierato il pattugliatore polivalente d’altura Thaon di Revel e un drone sottomarino. Ad essere presente in Qatar sono anche l’Aeronautica militare, che nelle operazioni di controllo dello spazio aereo si avvale di un sistema di difesa da minacce anti-drone, e i Carabinieri, che svolgono invece compiti di polizia militare e di consulenza.
Il dispositivo interforze schierato dall’Italia per i Mondiali prevede quindi un dispiegamento di 560 persone, l’impiego di 46 mezzi terrestri, di una unità navale e di due aerei per un costo di 10,8 milioni di euro. Un prezzo irrisorio se si considera il valore degli accordi in ambito militare, energetico e commerciale siglati negli anni con Doha, chiudendo però un occhio – anzi due – sulle violazioni dei diritti umani nel paese del Golfo.
La mancanza di tutele e lo sfruttamento sistematico a cui sono sottoposti i lavoratori stranieri in Qatar non è certo una novità. Già nel 2016 Amnesty International aveva accusato il Paese di sfruttamento del lavoro tramite la “kafala”, un’istituzione di diritto islamico che di fatto rende gli stranieri degli schiavi al servizio del loro datore di lavoro, che può limitarne la libertà personale e imporre orari e retribuzione senza garantire alcuna tutela.
Ma lo sfruttamento non è l’unico problema del Qatar. Nel Paese del Golfo, le donne sono ancora sottoposte alla legge sulla tutela maschile, che le costringe a una situazione di subordinazione rispetto al marito o ai parenti maschi più stretti, mentre l’omosessualità e l’adulterio sono considerati reati.
Ma all’Italia quanto succede in Qatar non sembra interessare, soprattutto di fronte a offerte particolarmente generose nel campo dell’energia e della vendita di armamenti.
Tutti in difesa
La richiesta di supporto inviata dal Qatar all’Italia d’altronde è stata accolta dall’allora ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, come «il naturale corollario e il coronamento di una collaborazione tecnico-operativa e industriale avviata da anni» e che presenta importanti potenzialità di sviluppo. La cooperazione militare tra i due Paesi, sempre nelle parole del ministro, «è forte e intensa e abbraccia numerose attività di spiccato valore strategico», anche in ambito industriale, il tutto coerentemente «con i nostri interessi comuni in materia di sicurezza e difesa».
Le lodi tessute da Guerini alle relazioni tra Italia e Qatar trovano riscontro anche nei numeri. Doha è tra i maggiori acquirenti dei prodotti dell’industria della difesa italiana posizionandosi, secondo i dati del Sipri, al terzo posto nel periodo 2015-2021. A beneficiare di questo rapporto sono principalmente Leonardo e Fincantieri, le maggiori imprese italiane detenute in parte dallo Stato.
Nel 2022, l’ex Finmeccanica ha consegnato all’aeronautica del Qatar sei caccia addestratori sulla base di un accordo che prevede anche la formazione di piloti qatarioti nella base aerea leccese di Galatina e in quelle sarde di Decimomannu e Salto di Quirra. Leonardo ha anche fornito nell’ultimo anno due elicotteri multiruolo, parte di una maxi-commessa del 2018 dal valore di 3 miliardi di euro e che vede ancora una volta il coinvolgimento delle forze italiane nella formazione dei piloti insieme ai tecnici di Leonardo.
L’azienda ha anche ricevuto dalla Marina una commessa per la realizzazione di un Centro operativo navale per il monitoraggio delle acque territoriali, mentre Fincantieri ha consegnato all’Emirato due pattugliatori offshore, parte di una più grande commessa dal valore di quasi 4 miliardi di euro che prevede anche la fornitura di quattro corvette e di una unità anfibia Lpd.
Tra le imprese che hanno siglato contratti con il Qatar vi è anche la M23 Srl, che nel 2019 si è aggiudicata la licenza per due sottomarini nani dal valore di 190 milioni di euro. L’azienda è legata a livello finanziario alla Sph Srl e la Gse Trieste Srl, attiva nel settore cantieristico navale e partecipata parzialmente dalla qatariota Shamal 3.
Quest’ultima vede tra i suoi direttori generali Toufic Abi Fadel, ex manager della Qatar Development Bank e della Qatar First Bank nonché capo dell’ufficio legale di Barzan Holdings, azienda posseduta al 100 percento dal ministero della Difesa del Qatar e responsabile per il potenziamento delle capacità militari delle forze armate dell’Emirato.
Questo insieme di commesse ha consentito al Qatar di attestarsi come primo Paese importatore di prodotti militari italiani nel 2017, con contratti per un valore di 4 miliardi, nel 2018, con accordi per due miliardi di euro, e di nuovo nel 2021 con 813 milioni nonostante la pandemia da Covid-19. Numeri che ci si aspetta continueranno a salire nei prossimi anni, vista l’importanza che i rapporti militari con il Qatar rivestono per l’Italia.
Scambi lucrosi
Poco prima dell’approvazione della missione militare in Qatar, l’Italia si è aggiudicata un ruolo di primo piano anche nel settore dell’energia. L’ad di Eni, Claudio Descalzi, e il presidente di QatarEnergy, Saad Sherida Al-Kaabi, hanno firmato un accordo per la creazione della nuova joint venture che sarà coinvolta per il 12,5 percento nel North Field East (Nfe), un giacimento offshore che si stima possa contenere il 10 per cento delle riserve di gas naturale liquefatto al mondo. Grazie a questo progetto, il Paese del Golfo potrebbe aumentare del
60 per cento la capacità produttiva di Gnl, passando da 77 a 126 milioni di tonnellate all’anno entro il 2027, con effetti positivi anche per l’Italia. La ricerca di fonti di energia alternative rispetto a quelle russe ha aumentato l’importanza del Qatar, come dimostra anche la missione svolta a marzo a Doha dall’allora ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, per rafforzare il partenariato bilaterale, soprattutto in campo energetico.
Ma l’incremento della produzione di Gnl, a cui l’Italia contribuisce, non è privo di criticità. Il North Field è considerato il più grande progetto relativo al gas naturale liquefatto al mondo, ma comporta significativi problemi ambientali, tanto da essere stato definito una vera e propria “bomba climatica”.
Come riportato dal Guardian, questo tipo di progetti emette almeno un miliardo di tonnellate di anidride carbonica, andando quindi contro l’obiettivo di riduzione delle emissioni inquinanti necessario per contrastare il riscaldamento globale. Il North Field però vede anche la partecipazione di un’altra azienda italiana, la Saipem, che ha fornito servizi di “Front End Engineering Design”, utili per l’incremento dell’estrazione di gas naturale dal giacimento qatariota.
Nel settore energetico dell’Emirato è attiva anche Enel Green Power S.p.A. che nel 2021, come spiega il sito specialistico EnergiaOltre, ha concluso un accordo con la Qatar Investment Authority per progetti rinnovabili nell’Africa subsahariana. Il fondo sovrano qatariota ha anche intenzione di acquisire il 50 per cento della partecipazione di Egp in progetti già esistenti e in costruzione in Sud Africa e Zambia.
I rapporti tra Italia e Qatar non si limitano al solo settore energetico. Nell’Emirato sono attive più di 40 grandi aziende italiane e i rapporti commerciali sono cresciuti nel corso degli ultimi anni. Nel 2019, secondo i dati Istat, le esportazioni italiane verso Doha sono aumentate del 27 per cento rispetto all’anno precedente e hanno riguardato nell’ordine i semilavorati (35 per cento), la meccanica (29,9 per cento), l’arredamento e l’edilizia (13 per cento), la moda e gli accessori (10,3 per cento), i mezzi di trasporto (3,5 per cento) e l’agroalimentare (3,1 per cento). Il 92,1 per centodel nostro import dal Qatar invece riguarda i combustibili e gli idrocarburi.
Dopo un lieve calo nel 2020, il valore dell’import-export tra i due Paesi è tornato a salire nel 2021 e nel 2022. L’anno scorso, secondo InfoMercatiesteri, l’interscambio è valso circa 4 miliardi di euro, per poi registrare una nuova impennata tra gennaio e luglio 2022, periodo nel quale l’Italia ha esportato circa 1,84 miliardi di euro di prodotti (+128,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021), a fronte di un import di 2,64 miliardi (+241 per cento).
Compagni di squadra
Il Qatar è diventato un partner sempre più importante per l’Italia a livello commerciale, militare e di sicurezza. La stabilità dell’area è considerata fondamentale dai governi italiani anche per gli interessi della nazione, ma Roma ha anche un’alta considerazione del ruolo che il Qatar può giocare nella guerra in Ucraina e in Libia, oltre che nel più generale panorama mediorientale e nordafricano.
Da qui la stipula di diversi accordi di cooperazione militare tradottisi in un incremento dell’export di armamenti e nelle operazioni di addestramento del personale militare qatariota nel nostro Paese. O ancora nella partecipazione delle maggiori imprese energetiche nazionali nei progetti di sfruttamento del gas liquefatto dell’Emirato in cambio di una riduzione della dipendenza dalla Russia, diventato un paria nello scacchiere internazionale. Il tutto a discapito della tutela dell’ambiente e dei diritti umani, il cui rispetto dovrebbe essere non solo alla base del rilascio delle autorizzazioni per le esportazioni di materiale militare, ma anche il principio guida della politica estera dell’Italia.
Chiudere gli occhi su diritti e clima, però, si è rivelato particolarmente fruttuoso. Il Qatar è tra i maggiori importatori di prodotti bellici italiani, vanta un interscambio commerciale di diversi miliardi di euro e i buoni rapporti tra Roma e Doha hanno permesso anche alle aziende energetiche italiane di mettere un piede nel più grande giacimento di Gnl del mondo. A fronte di un impegno militare in occasioni dei Mondiali di soli 10,8 milioni di euro.