Le atroci punizioni riservate alle famiglie dei disertori nordcoreani
Dopo la fuga del soldato che lunedì 13 è scappato in Corea del Sud, ci si domanda cosa succede ai familiari dei disertori che restano in Corea del Nord. TPI ha provato a rispondere a questa domanda
Il 13 novembre 2017 un soldato nordcoreano ha disertato e ha cercato di scappare in Corea del Sud attraversando la Joint Security Area, una zona demilitarizzata. L’episodio è avvenuto nel villaggio di Panmunjom, l’unica area dove i militari dei due Stati si trovano faccia a faccia.
L’uomo, durante il suo turno di guardia, ha cercato di attraversare il confine prima a bordo di una jeep, poi a piedi. Quattro suoi commilitoni, però, lo hanno visto e hanno cercato di fermarlo sparandogli cinque proiettili che lo hanno ferito alla spalla e al braccio. I militari sudcoreani lo hanno trovato dopo mezz’ora sotto un cumulo di foglie.
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Al momento il soldato si trova nell’ospedale dell’Ajou University, a Seul, dopo il trasporto con un elicottero dell’Onu. I medici lo hanno sottoposto a diverse operazioni chirurgiche e pensano di riuscire a salvarlo.
Fin dalla divisione della penisola in seguito alla Guerra di Corea (1950-1953), alcuni nordcoreani sono riusciti a lasciare il paese per ragioni politiche, ideologiche, religiose, economiche o personali. A partire dagli anni Novanta si è assistito a un aumento dei disertori, in particolare delle donne, verso la Corea del Sud, la Cina, il Vietnam e la Thailandia.
Al momento si stima che a partire dal 1953 circa 300mila coreani del nord siano fuggiti. Di questi circa 27mila hanno richiesto asilo in Corea del Sud.
Ma cosa accade alle famiglie dei cosiddetti disertori che invece restano in Corea del Nord?
Per chi lascia il paese contravvenendo ai suoi obblighi militari, civili o morali, le punizioni sono severissime. Si va dalla pena capitale all’ergastolo nei campi di lavoro, fino all’aborto forzato per le donne trovate incinte e all’uccisione dei figli avuti con le eventuali nuove famiglie, nell’ottica di proteggere la “purezza” del sangue nordcoreano.
I campi di rieducazione più noti sono il Kaechon Internment Camp e lo Yodok Concentration Camp, entrambi destinate a prigionieri politici e all’interno dei quali vengono comminate pene contrarie ai diritti umani.
Se negli ultimi quindici anni la maggior parte dei fuggitivi proveniva dal ceto medio-basso della popolazione, il 2016 è stato caratterizzato da alcune diserzioni di funzionari statali di alto rango, soprattutto diplomatici e funzionari del Ministero della Sicurezza di Stato (MSS) che si occupavano del controllo dei lavoratori nordcoreani all’estero.
Secondo dati che provengono da Seoul, da gennaio ad agosto 2017, 780 nordcoreani sono fuggiti verso la Corea del Sud. Il numero è calato del 13 per cento rispetto allo scorso anno.
I disertori nordcoreani hanno spesso manifestato timori per le loro famiglie.
In molti casi i nuclei familiari dei disertori vengono individuati come obiettivi di punizioni esemplari, che possano fungere da deterrente e che possano evitare eventuali ricongiungimenti tra parenti.
Alcuni casi famosi
Ad aprile 2015, ad esempio, emerse la storia di due disertori nordcoreani scappati in Cina e dei loro figli rimasti in Corea del Nord. Il gesto di questa coppia nordcoreana provocò le ire del governo di Kim Jong-un, che condannò i figli ventenni a durissimi lavori forzati nell’altoforno di un impianto di macchine agricole nella città di Haeju.
La Corea del Nord stabilì per i due ragazzi dei massacranti turni lavorativi che dovevano svolgere sotto il rigido controllo dei dirigenti dell’azienda, senza un minuto di pausa e violando ogni diritto alla privacy.
I genitori dei ragazzi provarono a inviare loro del denaro, ma quando il governo li scoprì, etichettò tutti, figli compresi, come disertori.
Ma non tutte le famiglie reagiscono allo stesso modo dinanzi alla fuga di un parente.
Un altro caso noto fu quello del vice ambasciatore nordcoreano in Gran Bretagna, Thae Yong-Ho, il funzionario più alto in carica ad aver disertato il regime di Pyongyang, che scappò nel 2016 a Seul con la famiglia.
In un’intervista all CNN resa quest’anno, l’uomo espresse le sue preoccupazione per il resto dei familiari rimasti in Corea del Nord. “I parenti dei disertori vengono spesso inviati in campi di prigionia o utilizzati dal regime come strumenti propagandistici”, raccontava.
Eppure in quel caso i suoi stessi fratelli dissero di considerarlo come un traditore, affermando che non lo avrebbero perdonato.
“La nostra società è come una grande famiglia e per noi Kim Jong-un è un padre. Per questo lavoreremo sodo per riparare il torto fatto al paese”, raccontava alla CNN un fratello del diplomatico.
Nonostante Thae Yong-Ho abbia sempre sostenuto che queste affermazioni fossero il frutto di un sapiente lavaggio del cervello compiuto sui suoi familiari, i rapporti con i fratelli non si sono mai ricomposti.
Il caso più recente è quello dell’uomo identificato solo con il nome di Mr. Lee.
Martedì 7 novembre, la Bbc News Korean si era messa in contatto con lui, un altro disertore del regime nordcoreano attualmente in Corea del Sud.
Da quattro anni la moglie e i quattro figli dell’uomo sono in un centro di detenzione in Cina e proprio in questi ultimi giorni si fa sempre più realistica la possibilità di un rimpatrio in Corea del Nord.
È proprio questo a destare maggiore preoccupazione in Mr. Lee, che ha chiesto ai leader cinesi di risparmiare la vita alla sua famiglia e di mandarla in Corea del Sud. A suo parere infatti, ad attendere la moglie e i figli in Corea del Nord potrebbe esserci la pena di morte o l’incarcerazione in una colonia penale.
Gli accordi fino ad ora vigenti fra Cina e Corea del Nord prevedrebbero il rimpatrio di qualsiasi cittadino nordcoreano che, non autorizzato, abbia provato a lasciare il paese.