Le proteste contro il neoliberismo che scuotono il Sud America
Proteste in Sud America: la grande onda anti-neoliberista
Il Sud America trema, ma soprattutto vacilla un modello politico-economico rispetto al quale i cittadini sudamericani non sembrano più avere fiducia: le ininterrotte proteste che stanno infiammando il Cile, l’Ecuador e la Bolivia nelle ultime settimane sono un esempio plastico di questa crisi.
La “piazza” sembra aver smesso di credere nel modello neoliberista, secondo cui il libero mercato e la legge della concorrenza sono in grado di portare al benessere collettivo. Il presupposto di questa teoria è un minor intervento dello Stato nell’economia, la politica che diventa ancella dei mercati, i quali sono in grado di autoregolarsi secondo un meccanismo virtuoso e “austero” che deve essere protetto anche a costo di tagli alla spesa sociale e di grandi sacrifici della popolazione.
Il caso dell’Argentina
La teoria neoliberista in Argentina è stata sposata, tra gli altri, dall’ormai ex presidente Mauricio Macri. Studente alla Columbia Business School di New York, Macri è stato dirigente di una ditta di costruzioni che faceva parte della holding del padre Socma Group e presidente della squadra di calcio Boca Juniors dal 1995 al 2012. Una vita di successi imprenditoriali che nel 2015 gli è valsa la fiducia degli elettori. Il 22 novembre 2015 Macri ha vinto le elezioni del suo paese, diventando il 57esimo presidente dell’Argentina.
Da allora ha messo in atto una serie di politiche di austerità volte a ripianare il deficit pubblico senza aumentare le tasse. I suoi tentativi non sono andati però a buon fine: la produttività industriale è rimasta stagnante e nel 2018 l’economia dell’Argentina è entrata in recessione. Macri è stato costretto a chiedere al Fondo monetario internazionale (FMI) un prestito di 57 miliardi di dollari, il più grande salvataggio nella storia del Fondo.
Nell’agosto 2019 il presidente in carica viene sconfitto alla primarie del suo partito dallo sfidante peronista Alberto Fernandez. Fernandez promette un’inversione di rotta rispetto all’austerity, un ritorno alla centralità dello Stato, servizi sociali e aiuti ai ceti popolari: una ricetta che lo porta a vincere le elezioni dello scorso 28 ottobre.
Il neoliberismo portato avanti dal governo precedente è dunque entrato in crisi, ma in Argentina il tutto sembra essersi “risolto” all’interno di un contesto elettorale.
Proteste in Sud America: in migliaia in piazza in Cile
In Cile il 18 ottobre sono iniziate violente proteste popolari contro il governo del presidente Sebastian Piñera dopo la decisione del governo di aumentare il costo del biglietto della metropolitana. Le rivendicazioni si sono però estese con il passare dei giorni e adesso i manifestanti chiedono nuove misure sociali: vogliono che si metta fine alla forte disuguaglianza che opprime il Paese e protestano per una maggiore qualità dei servizi pubblici.
Il governo, dal canto suo, ha reagito subito con durezza inasprendo ancora di più le tensioni sociali, arrivando a imporre il coprifuoco e lo stato di emergenza. Il 23 ottobre il presidente ha annunciato un nuovo piano di riforme per aiutare le fasce più basse della popolazione e ha chiesto perdono per non aver compreso la drammaticità della situazione ma i manifestanti non sembrano pronti al compromesso. In migliaia stanno continuando a riversarsi nelle piazze chiedendo una nuova Costituente che mandi al macero la vecchia costituzione di Pinochet ancora in vigore.
Il Cile registra un Pil pro capite intorno ai 25mila dollari, il debito pubblico è basso e l’economia è in crescita: i vantaggi di questa condizione florida non sono però distribuiti equamente all’interno della società cilena che resta uno dei paesi con la maggiore disuguaglianza di tutta l’America latina. Solo l’11 per cento della popolazione beneficia della ricchezza complessiva del Paese, e secondo i dati della Comisión Económica para América Latina y el Caribe (Cepal) la maggior parte delle famiglie vive con meno di 5mila euro all’anno.
Il costo della vita invece resta altissimo mentre il salario medio della metà più povertà della popolazione è intorno ai 560 euro. Trasporti, servizi elettrici e idrici sono privatizzati e sono regolati da un sistema lobbistico poco concorrenziale. Lo stesso vale per il sistema pensionistico in vigore dal 1980 e basato sui contributi ai fondi privati.
Le proteste in Ecuador
Anche in Ecuador nelle ultime settimane ci sono state forti tensioni. All’inizio di ottobre 20mila indigeni hanno invaso le strade per chiedere il ritiro delle misure anti-sociali del governo del presidente Lenin Moreno e alla fine l’esecutivo ha dovuto fare dietro-front.
La piazza ha saputo farsi ascoltare. Dopo undici giorni di proteste, il 14 ottobre Moreno ha annunciato la deroga al decreto che rendeva effettive le misure di austerity richieste dal Fondo monetario internazionale. Lo scontro di piazza si è concluso con un bilancio di 7 morti, 1.340 feriti e 1.152 arresti.
Le elezioni in Bolivia e Uruguay
In Bolivia il 20 ottobre scorso si sono tenute le elezioni presidenziali e il presidente uscente Evo Morales, leader del partito di sinistra del Mas, è stato confermato alla guida del paese per il quarto mandato raccogliendo circa il 47 per cento dei consensi. L’opposizione, tuttavia, ha denunciato brogli e contestato l’esito del voto.
Dopo l’annuncio della vittoria di Morales, nel paese si sono scatenate dure proteste, tanto che il presidente ha parlato di tentativo di golpe e ha dichiarato lo stato di emergenza. Non è ancora chiaro quindi se il leader progressista da sempre avverso alle politiche neoliberiste riuscirà a mantenere il potere.
In Uruguay, le elezioni si sono tenute il 27 ottobre ma bisognerà attendere il ballottaggio per capire se la sinistra del Frente Amplio, con il suo candidato Daniel Carlos Martínez, sarà in grado di battere il Partito Nazionale di destra di Luis Alberto Lacalle Pou.
In Brasile la destra è al potere con il presidente Jair Bolsonaro, ma nel Paese iniziano a farsi sentire i primi malcontenti: in agosto per la terza volta migliaia di persone sono scese in piazza in 80 città per protestare contro i tagli all’istruzione e contro la misura di bilancio voluta dall’esecutivo. La situazione esplosiva dei Paesi vicini potrebbe far riemergere nuove “inquietudini” anche in Brasile. Tra mille incertezze il Sudamerica sembra pronto a inaugurare una nuova fase politica.