Il primo discorso di Aung San Suu Kyi alle Nazioni Unite di New York
L'attuale ministra degli Esteri birmana ha affrontata la delicata questione legata alla condizione della minoranza musulmana discriminata nel suo paese
Mercoledì 21 settembre, Aung San Suu Kyi è intervenuta alle Nazioni Unite. Si tratta del primo discorso ufficiale pronunciato dalla leader birmana in occasione dell’annuale Assemblea Generale dell’Onu, in corso questi giorni al Palazzo di Vetro di New York.
Attualmente ministra degli Esteri, San Suu Kyi per anni è stata costretta agli arresti e privata di ogni libertà dalla giunta militare a cui il suo partito si contrapponeva.
Davanti a 135 capi di stato e altrettante delegazioni, la leader birmana ha espresso le sue speranze per un mondo “senza rabbia, avidità, paura e ignoranza”, e ha poi affrontato un argomento delicato come la situazione della minoranza musulmana in Birmania discriminata, che per lungo tempo ha attirato diverse critiche sulla stessa San Suu Kyi.
“In questi ultimi anni il mondo ha focalizzato la sua attenzione sulla situazione dello stato di Rakhine nel nostro paese. Come membro responsabile della comunità delle nazioni noi non temiamo il giudizio internazionale. Noi cerchiamo una soluzione sostenibile che porterà alla pace, alla stabilità e allo sviluppo di tutte le comunità nello stato”.
Pur non citandoli espressamente, il capo della diplomazia birmana ha voluto affrontare la questione legata ai diritti della minoranza musulmana dei rohingya. E lo ha fatto dalla tribuna delle Nazioni Unite.
Da tempo, i rohingya sono vittime di una vera e propria persecuzione in Birmania. Il fatto che siano di religione musulmana, in un paese a maggioranza buddista, ha portato all’adozione di politiche discriminatorie nei loro confronti, che comprendono l’arresto arbitrario, la tortura, le esecuzioni sommarie e la confisca dei terreni.
Dei 3,5 milioni di membri appartenenti alla comunità rohingya, più di 120mila sono stati costretti negli ultimi tre anni a lasciare il territorio birmano, nella speranza di trovare asilo nelle vicine Thailandia e Malesia.
(Donne appartenenti alla minoranza musulmana dei rohingya. Credit: Reuters)
La stessa San Suu Kyi è stata fortemente criticata a livello internazionale anche dai suoi sostenitori più forti, per il suo silenzio sull’oppressione dei rohingya, considerati dalle Nazioni Unite come la minoranza più perseguitata nel mondo.
San Suu Kyi si è detta disponibile a sostenere il lavoro di un comitato istituito dal governo birmano su questa delicata questione, che sarà guidato dall’ex Segretario Generale dell’Onu, Kofi Annan.
“C’è stata una persistente opposizione da parte di alcuni nella creazione di questo comitato”, ha sottolineato San Suu Kyi. “Ma siamo determinati a perseguire nei nostri sforzi per raggiungere l’armonia, la pace e la prosperità nel Rakhine (Birmania occidentale), che ospita la maggior parte di questa minoranza composta da un milione di abitanti.
La leader birmana ha promesso “di opporsi fermamente a ogni forma di intolleranza e di pregiudizi”, promuovendo i diritti umani e chiedendo che “la comunità internazionale fornisse il suo supporto in modo costruttivo”.
Numerosi rohingya sono presenti in Birmania da decenni, ma sono ancora considerati alla stregua di immigrati clandestini privi di documenti di identità, a cui è vietato ogni accesso agli ospedali, alle scuole e al mercato del lavoro.
(Qui sotto il video del suo intervento)