La democrazia turca si sta sgretolando tra le mani di Erdogan
Nell'indice sulla libertà di stampa la Turchia si è posizionata al 149esimo posto nel 2015, dietro al Messico
Solo qualche mese dopo l’invio di poliziotti negli uffici dell’agenzia di comunicazione Koza Ipek Media Group da parte del presidente turco Recep Tayyp Erdogan, lo stesso copione si è ripetuto il 5 marzo 2016, quando le forze dell’ordine turche hanno fatto irruzione senza preavviso negli uffici di Feza Publications a Istanbul.
Il gruppo editoriale possiede due testate giornalistiche, tra cui il quotidiano Zaman, e due emittenti televisive. Niente è così pericoloso per una democrazia quanto chiudere gli organi di stampa e limitare la libertà di espressione.
Prendere questo genere di misure radicali sulla base di accuse inventate, come ad esempio quella di voler aiutare i terroristi e di cospirare contro lo stato, è scandaloso e dimostra la paura del leader turco dell’opinione pubblica, nonostante la sua spavalderia.
Il presidente Erdogan ha sempre incoraggiato la furia contro la stampa e incarcerato impunemente schiere di giornalisti sulla base di false accuse.
Nonostante sia ben cosciente che la Turchia è ben lontana dall’essere una nazione democratica, continua a promuovere l’idea assurda che il paese sia, al contrario, una democrazia genuina, e che in nessun altro posto al mondo la stampa sia più libera.
L’indice mondiale della libertà di stampa del 2015 di Reporter senza frontiere ha inserito la Turchia al 149esimo posto su 180, tra il Messico, dove i giornalisti vengono regolarmente assassinati e la Repubblica democratica del Congo, che è in pratica uno stato inesistente.
Forse bisognerebbe ricordare a Erdogan in che cosa consiste veramente una democrazia. La libertà di espressione costituisce uno di quattro pilastri fondamentali in qualsiasi forma di governo democratico, che include anche le elezioni di un governo rappresentativo, l’uguaglianza davanti alla legge, e una stretta osservanza dei diritti umani.
Erdogan non ha mai smesso di reprimere la libertà di espressione in tutte le sue forme, ha continuato a erodere gli altri pilastri ed è destinato a mandare in fumo quello che resta della democrazia turca.
La dichiarazione universale dei diritti umani garantisce il diritto alla libertà di opinione e di espressione ma, come avvertiva Benjamin Franklin, “chiunque voglia deporre la libertà di una nazione deve cominciare dalla sottomissione della libertà di parola”.
Erdogan è stato ampiamente apprezzato per le riforme che ha portato avanti e per lo sviluppo economico che ha fatto della Turchia la diciassettesima economia più grande al mondo nel primo periodo del suo mandato. Avrebbe potuto realizzare con orgoglio molte delle sue ambizioni per rendere la Turchia una superpotenza regionale con il manifesto supporto del popolo.
Avrebbe potuto farlo senza distruggere i principi fondanti della Turchia, come era stata pensata dal suo fondatore, Mustafa Kemal Atatürk, e fornire al mondo arabo e musulmano un vero modello di democrazia islamica fiorente.
Purtroppo però, Erdogan ignora il fatto che la sistematica demolizione delle istituzioni democratiche del paese, avrà l’effetto contrario di distruggere il potenziale di grande potenza della Turchia.
Il presidente turco non perde occasione di dimostrare la sua mancanza di tolleranza nei confronti dell’opposizione e di considerare la stampa come un “fastidio”.
Il premier turco ha usato le sue credenziali di fervente musulmano per apparire come un leader “puro”, mentre in realtà è implicato in favoreggiamenti per garantire giganteschi appalti alle famiglie che lo hanno supportato e ai suoi parenti, irrispettoso del conflitto di interesse e della corruzione che ne deriva.
Con un parlamento imbalsamato, è stato in grado di far passare qualsiasi tipo di legge, ad eccezione di un emendamento costituzionale che avrebbe garantito al presidente poteri illimitati. Ha subordinato il sistema della giustizia ai suoi capricci e praticamente è diventato un uomo di stato con poteri dittatoriali.
La sua sete di potere, la repressione dei dissidenti, lo zelo religioso e la predisposizione al narcisismo, lo hanno portato a essere temuto dalla gran parte della società turca, e al tempo stesso lo hanno reso ammirevole ad altri. È osteggiato quasi all’unanimità dalla comunità internazionale, che però in alcune occasioni ha accettato di trattare con lui.
L’accordo che è stato raggiunto il 7 marzo 2016 tra la Turchia e l’Unione Europea per risolvere la crisi dei migranti è uno di questi casi.
Dal momento che la Turchia si sta affacciando a un bivio storico, le scelte che Erdogan farà, nei prossimi mesi e anni, avranno un effetto duraturo sul futuro del paese. Commetterà un grave errore se continuerà a dare per scontato l’appoggio del popolo turco. I turchi hanno inventiva, sono produttivi, hanno un buon livello di istruzione e una lunga storia di conquiste, una mentalità occidentale e lottano per la democrazia.
Erdogan dovrebbe sapere che se la Turchia vuole accaparrarsi un posto tra le potenze mondiali, deve restaurare tutto quello che è andato perso negli ultimi anni, specialmente le fondamenta democratiche. Senza questo tipo di principi, la Turchia sarà ancora più alienata dagli stati occidentali e non sarà in grado di sfruttare il suo vero potenziale come potenza del Medio Oriente e dell’Europa.
Paradossalmente, Erdogan sembra assaporare l’illusione che sarà lui a presiedere il centesimo anniversario della Repubblica di Turchia nel 2023, e che verrà ricordato come il nuovo ‘Padre della Turchia’, facendo scivolare Atatürk in secondo piano.
Il presidente turco vuole disperatamente ripristinare un po’ della gloria dell’Impero Ottomano, dimenticandosi però che l’impero di allora crollò in parte sotto il sul peso di sé stesso, diventando facile preda delle forze alleate agli inizi del ventesimo secolo a causa di leader corrotti e spregiudicati.
Se continuerà a sbagliare nel prendere le sue decisioni, Erdogan non sarà ricordato come il padre di una nuova nazione democratica, ma come il dittatore ambizioso e fuori strada che ha sacrificato il potenziale futuro glorioso della Turchia per il suo zelo religioso, arso dal desiderio di avere sempre più potere.