Porno vietati India
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Qualche mese fa in India era circolata la notizia che il governo Modi avesse deciso di bloccare i siti pornografici dai server nazionali. Un’impresa ciclopica, ufficialmente dettata dalla volontà di contrastare la diffusione di materiale pedo-pornografico, ma non solo.
L’iniziativa, che eliminerebbe ogni contenuto erotico dal web, nasconde un controverso assunto di base: la diffusione del porno in India “è all’origine di comportamenti devianti, come stupri, molestie e violenza sulle donne”. Il ministro delle telecomunicazioni indiano, Ravi Shankar Prasad, ha dichiarato che “anche se in altri paesi è legale, il porno deve essere visto nel contesto delle sensibilità culturali indiane e degli obblighi morali verso la società”.
A fine novembre, ha così chiesto all’Internet and Mobile Association di stilare una lista di siti da bannare, mentre è in fase di sviluppo un sistema per filtrare il traffico in rete e bloccare i contenuti di circa 40 milioni di siti pornografici accessibili dall’India – mettendo così fine al “problema del porno”.
Nella patria del Kamasutra, dove i film di Bollywood veicolano di continuo messaggi soft-porn, la pornografia è oggi illegale, anche se non ne esiste una precisa definizione. Una legge dell’epoca vittoriana – la Sezione 292 del Codice Penale Indiano, emendata nel 1969 – e la sezione 67 dell’Information Technology Act del 2000, vietano la produzione, pubblicazione e distribuzione di materiale osceno (con condanne fino a cinque anni di reclusione), ma non il possesso e la fruizione privata.
Alcuni media locali, nel riportare i ripetuti casi di stupro degli ultimi anni, hanno posto l’accento sul fatto che molti degli stupratori avessero guardato clip porno prima di aggredire le vittime. Da qui, la deduzione dell’esistenza di un nesso causale tra la diffusione del porno e l’aumento di stupri nel paese.
Diversi studi negli Stati Uniti e in Nord Europa hanno messo in relazione pornografia e reati sessuali arrivando a tutt’altre conclusioni. Il professor Anthony D’Amato, docente di giurisprudenza alla Northwestern University e consigliere della Commissione Nixon su “Oscenità e pornografia” negli anni ’70, riassume il risultato delle sue ricerche nell’articolo “Porn up, rape down”.
“L’incidenza degli stupri e violenze sessuali negli Stati Uniti è diminuita dell’85 per cento negli ultimi 25 anni”, spiega D’Amato, “la mia teoria è che a un aumento nell’accesso alla pornografia corrisponda una considerevole diminuzione degli stupri: la correlazione è inversa”.
Ipotesi sostenuta anche da Christopher Ferguson, professore di psicologia alla Stetson University in Florida: “Diverse ricerche correlazionali sono arrivate alla conclusione che l’esposizione alla pornografia possa addirittura proteggere il consumatore dal commettere reati sessuali”. Ma come questi studi si proiettano sulla realtà indiana?
Ruchira Gupta, lobbist per il Protocollo delle Nazioni Unite contro il traffico di esseri umani, docente della New York University e fondatrice dell’Ong Apne Aap Women Worldwide, che da anni si batte per i diritti delle donne, sostiene che i casi di stupro in India siano aumentati dell’873 per cento negli ultimi 60 anni.
Un dato che, però, non tiene conto della maggiore propensione delle vittime a denunciare rispetto al passato.
“La Commissione Nixon sulla pornografia partiva dal falso assunto questa abbia a che fare col sesso. Il porno è fatto di violenza, dominazione della donna, non di sesso, che è invece alla base dell’erotismo”, afferma Gupta, “L’India si nutre di una narrativa importata dall’Occidente che trasmette violenza, non piacere sessuale e pertanto contribuisce a creare un desiderio basato sulla sofferenza.”
Con un giro d’affari globale di 57 miliardi di dollari annui, l’industria del porno è riuscita a fare breccia nell’immenso mercato indiano anche grazie alla capillare diffusione di smartphone e 3G: l’India è oggi tra i maggiori consumatori al mondo di materiale porno online in termini di utenti.
“L’avvento di internet e delle nuove tecnologie in India ha significativamente influenzato l’accessibilità e la diffusione di film e materiale pornografico”, si legge in uno studio del National Crime Bureau of Investigation (Ncbi), che analizza la relazione tra pornografia e stupri prima e dopo la liberalizzazione degli anni ‘90, giungendo a conclusioni simili a quelle di D’Amato.
“È opinione diffusa che la pornografia influenzi il comportamento degli uomini indiani più che quello di persone appartenenti ad altre culture”, si legge però nel rapporto dell’Ncbi, “Le variabili culturali sono descritte come cause principali: in India il sesso è considerato un tabù e la maggior parte delle persone non ha un’educazione sessuale di base”. In altre parole, va bene il porno ma attenzione al contesto socio-culturale.
“L’interazione tra uomini e donne, ragazzi e ragazze delle classi basse e medio-basse, si è enormemente ridotta: in India non c’è più spazio per relazioni sociali libere da stigma”, spiega Ruchira Gupta, “il dialogo alla pari tra i sessi sta scomparendo, sostituito da un sentimento di vergogna per il sesso e il desiderio sessuale.”
“L’India è stretta fra un passato in cui il sesso era erotismo – del quale oggi ci vergogniamo -, una morale vittoriana impostaci durante il colonialismo britannico e, infine, un culto della mascolinità promosso dalle culture militarizzate dell’Occidente”, conclude l’attivista indiana, lasciando aperti molti interrogativi.
Intanto c’è chi crede che l’iniziativa del governo possa essere un tentativo di instaurare un sistema di censura ad ampio spettro sul traffico in rete, che ricorda quello della confinante Cina. Insomma, una volta messo in piedi un sistema di controllo, difficile dire quanti saranno i contenuti censurati.