Polonia, le donne ucraine in fuga dalle violenze dei soldati russi non possono abortire
“Novantanove ucraine mi hanno già contattato dal 1 marzo chiedendo come abortire o come avere una pillola del giorno dopo” queste le parole di un’attivista polacca dell’associazione “Aborto senza frontiere”, Justyna Wydrzynska. La donna ha raccontato a Repubblica che, nel Paese in cui a ottobre del 2020 l’interruzione di gravidanza è stata dichiarata illegittima anche in caso di malformazione del feto da una sentenza del Tribunale costituzionale, il percorso di accoglienza delle ucraine è ostacolato dalle norme restrittive contro l’aborto. Ancor più se si considera che molte di loro fuggono da violenze sessuali e stupri.
Le norme che in Polonia autorizzano l’aborto in un numero limitatissimo di casi potrebbero rappresentare un deterrente per le vittime di quelle violenze documentate e denunciate nelle scorse settimane dai sopravvissuti alla ritirata dell’esercito russo dall’area di Kiev. Come accaduto a Bucha. “I volontari che sono andati a Bucha hanno detto che le donne stuprate lì hanno paura di venire in Polonia. Conoscono le nostre leggi e le temono. Piuttosto cercano di arrangiarsi lì, in un Paese ancora devastato dalla guerra”, ha raccontato Wydrzynska.
“Le ucraine non sono abituate alle nostre restrizioni: c’è molta paura e ansia tra di loro”, ha detto ai media polacchi Hillary Margolis, di Human Rights Watch. Eppure due milioni di ucraini si sono già rifugiati in Polonia, e di questi il 90 per cento è rappresentato da donne e bambini. In Ucraina l’aborto è concesso fino alla dodicesima settimana di gravidanza.