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Perù in fiamme, l’ex giudice costituzionale Calle a TPI: “Per salvare il Paese dobbiamo sconfiggere la corruzione”

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Credit: AP Foto

Dall’auto-golpe del deposto presidente Pedro Castillo, il Paese sudamericano è in rivolta. In due mesi sono morte decine di persone, ma la crisi ha radici ben più profonde. E per l’ex giudice della Corte costituzionale, Fernando Calle, c’è un’unica soluzione: “Basta con l’impunità!”

Il Perù si trova da più di due mesi in una convulsione sociale molto significativa. Al momento in cui scriviamo più di 60 persone sono morte e oltre 1000 sono rimaste ferite nelle proteste seguite all’arresto dell’ex presidente Pedro Castillo, che aveva tentato di sciogliere il Congresso prima di essere destituito dallo stesso. Ma si tratta di una crisi che viene da lontano, e ha a che fare con una decadenza morale ed etica che coinvolge non solo la classe politica peruviana ma anche quella giudiziaria. È impossibile capire l’ira del popolo peruviano se si dimentica che tutti gli ex presidenti ancora in vita sono sotto inchiesta, a processo oppure in galera, così come parte del Congresso e molti amministratori locali, e che nel 2019 il Consiglio Nazionale della Magistratura è stato sciolto perché troppo corrotto. Una rabbia contro il malcostume che purtroppo si intreccia con una situazione economica ancora difficile.

Per approfondire questa situazione abbiamo sentito una figura intellettuale di peso nel Paese latinoamericano, ascoltato spesso dai media del suo Paese: il dottor Fernando Calle, avvocato, già giudice del Tribunale Costituzionale peruviano e professore di Diritto Costituzionale, oltre che autore di vari libri di giurisprudenza e scienza politica, che però si definisce semplicemente come «un modesto artigiano del diritto». È amico del nostro Franco Gallo, ex presidente della Corte Costituzionale. Politicamente è stato per 40 anni militante del partito di centrosinistra Apra dell’ex presidente Alan García e ancora oggi aderisce a quelle idee.

Cominciamo da quello che è stato definito come un “tentativo di auto-golpe” da parte di Castillo. Secondo lei la mossa dell’ex presidente era fuori dal dettato costituzionale? Crede che ciò che ha fatto sia simile a quanto fece già Alberto Fujimori nel 1993, quando il Congresso fu sciolto in maniera molto contestata?
«La costituzione peruviana prevede la possibilità di sciogliere il Congresso e convocare nuove elezioni, ma solo quando il Congresso nega la fiducia o approva la censura contro due governi. La mossa di Castillo non è stata fatta secondo questo schema ed è perciò anticostituzionale. Una norma simile (ma sulla base di tre ripudi dei governi) era prevista anche quando Fujimori riuscì a concludere un simile auto-golpe, che dunque era altrettanto anticostituzionale. La differenza tra i due episodi sta nel fatto che l’esercito non ha affatto eseguito gli ordini che Castillo ha emanato in diretta televisiva, mentre diede pieno supporto alle decisioni di Fujimori. In questo senso non capisco proprio perché Castillo abbia preso questo provvedimento; forse è stato male consigliato. Tra l’altro prima che lo facesse era improbabile il Congresso trovasse i voti per approvare la sua incapacità morale, come poi ha fatto».

Quanto è grave il problema della corruzione in Perù, e quanto sta danneggiando il Paese?
«L’ex presidente Castillo con una battuta ha detto che abbiamo così tanti corrotti che potremmo esportarli. Ed effettivamente la Contraloria General de la Republica (equivalente alla nostra Corte dei Conti, ndr) ha fatto sapere che nel 2021 abbiamo perso 24 miliardi di soles in corruzione (oltre 5,7 miliardi di euro, ndr). Sommati a quanto si è perso per la stessa ragione negli anni precedenti si tratta di una marea di denaro con cui potremmo risolvere i nostri problemi nei settori dell’istruzione e della sanità.

Da tempo denuncio l’esistenza in Perù di un potere occulto, presente in almeno il 60 per cento delle istituzioni peruviane. È un potere economico non alieno a contatti con il narcotraffico e che ha bisogno della politica; ha infatti assorbito i partiti e li ha distaccati dalla base militante. Vuole controllare anche la giustizia, e anch’essa è stata toccata dalla corruzione. Questo potere occulto sarebbe capace anche di far dimettere la presidente Boluarte, tra l’altro già ampiamente delegittimata perché un governo che accetta decine di morti nelle proteste dovrebbe dimettersi.

Ma la vergogna vera non è tanto la presenza di questa situazione, quanto che non la combattiamo adeguatamente. L’impunità è il vero cancro del Perù. Molti corrotti, che si sono anche portati via il denaro dal Paese, sono al centro di grandi indagini ma pochi sono in carcere. La gente lo capisce e per questo si è generata l’ira nazionale.

Nel 2018 ho proposto a tutti gli ex presidenti ancora vivi, in una lettera poi resa pubblica, che il Perù istituisca in accordo con l’Onu una commissione internazionale contro l’impunità sullo stile di quella esistente per il Guatemala. Nessuno di loro mi ha mai risposto, mentre in merito un dirigente del ministero degli Esteri fece sapere che secondo lui il Perù già stava lottando a sufficienza contro la corruzione.

C’è bisogno di un’emancipazione morale della Repubblica. Io sono ottimista: il futuro può essere migliore se eliminiamo l’impunità e se sapremo dare punizioni esemplari».

Lei che ne pensa dell’idea di istituire un’assemblea costituente? Data l’attuale scarsa credibilità delle istituzioni potrebbe essere questa una buona soluzione, o ce ne sono anche altre?
«In primo luogo dobbiamo capire che aldilà delle istituzioni e della legge c’è il fenomeno politico, che sia una rivoluzione, una protesta o altro. Il fenomeno politico oltrepassa le norme e le procedure esistenti, e in questo momento la rabbia del popolo, spesso trascurata dai media, ha reso la situazione molto delicata. C’è bisogno di soluzioni politiche e di cambiare i regolamenti in accordo con esse.

Già nella sentenza 014 del 2002 il Tribunale Costituzionale ammise che la costituzione del 1993 attualmente in vigore, promulgata da Fujimori, aveva fomentato la corruzione. Venivano dunque proposte tre soluzioni: non riconoscere la costituzione del ’93 e ritornare a quella del 1979; riformare la costituzione del 1993 con una commissione speciale del Congresso; chiedere al popolo attraverso referendum se convocare o meno un’assemblea costituente per riformare il testo costituzionale del ’79 o per scriverne uno nuovo. Ancora oggi penso che una di queste tre strade dovrebbe essere seguita.

Non sono contrario alla terza soluzione, a patto che i lavori dell’assemblea non procedano in un contesto violento rischiando così di non produrre cambiamenti ragionevoli. Il vero potere non nasce dai fucili ma dalla volontà sovrana del popolo.
Dobbiamo anche ricordare che un’assemblea costituente non risolverebbe tutti i nostri problemi economici e sociali; per quelli c’è soprattutto bisogno di più patriottismo da parte dei nostri imprenditori.

La soluzione politica di questa situazione attualmente è nelle mani del Congresso, che potrebbe fare tutti i cambiamenti necessari per rendere le istituzioni migliori senza nemmeno tenere conto della volontà della presidente. Per esempio, si potrebbero seguire i suggerimenti che diedi anni fa in un mio libro, “Tre proposte di riforma costituzionale”: visto che la legittimità dei parlamentari si erode facilmente, si potrebbe ridurre la legislatura a 2 anni e mezzo con una possibilità di rielezione per il Presidente, ora proibita, o con rielezione senza limiti.

Si tenga anche presente che la costituzione del ’79 era molto avanzata dal punto di vista dei diritti sociali. Perciò potrebbe tornare in vigore ai sensi della sentenza 014, magari rendendola più snella; questa sarebbe la mia opzione preferita.

Il punto fondamentale sta nel limitare che l’essere umano ecceda nell’esercizio della propria libertà. Comunque, per combattere la corruzione non è strettamente necessaria una riforma costituzionale. Si può per esempio fare un’indagine sul patrimonio di tutte le alte cariche della Repubblica, forze armate e polizia degli ultimi venti anni compresi i loro parenti fino al quarto grado, come ho proposto durante il mio secondo mandato al Tribunale Costituzionale, e verificare eventuali coinvolgimenti nel riciclaggio di denaro».

Per chiudere, le vorrei chiedere se secondo lei è in corso una persecuzione giudiziale contro l’ex-presidente Castillo come sostiene una parte della sinistra.
«Io non vedo persecuzioni politiche nel nostro Paese e non credo che Castillo sia un perseguitato. Non si può usare la politica come muro di protezione dalle indagini.

Tra l’altro le richieste che il popolo in protesta sta facendo non riguardano Castillo in particolare: solo in pochi ne chiedono il rilascio. Soprattutto si chiedono nuove elezioni.

Non credo affatto che più in generale esista una persecuzione politica nei confronti della sinistra, visto che sono sotto indagine e a processo anche ex presidenti di centro e di destra. Inoltre, invito a considerare che Castillo non è così tanto di sinistra, visto che nella sua campagna elettorale non c’erano temi marxisti ma semmai di centrosinistra, e inoltre i ricchi hanno fatto molti profitti sotto il suo mandato.

Quello che vedo è che tutti i corrotti cercano di difendersi l’un con l’altro, che siano di destra, di centro e di sinistra, e tutti tendono a dire che la magistratura è ingiusta. C’è soprattutto il grande partito dei corrotti che si associano e si difendono. Vorrei infine ricordare un pensiero di Democrito: “Tutto è perduto quando i cattivi servono da esempio e si scherniscono i buoni”».

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