Perché in alcune fasi della vita ci sentiamo più soli
Un recente studio sostiene che esistano dei cicli della solitudine che colpiscono le persone in età abbastanza fisse, solitamente legate a cambiamenti nella propria vita
Un recente studio del Dipartimento di Psicologia dell’Università
di Colonia, in Germania, ha svolto un’analisi su 16mila cittadini tedeschi per avere
uno sguardo più ampio possibile sul tema della solitudine, sulla sua presenza
nella società contemporanea e sugli effetti rischi che questa può comportare a
livello di salute.
Secondo la dott.ssa Maike Luhmann, tra le promotrici dello
studio, “Quello che gli studi dimostrano è che la solitudine ha delle conseguenze
fisiologiche reali. La pressione sanguigna si alza, e può salire in modo
permanente. Questi meccanismi possono poi portare a problemi di salute più
generali nelle persone. E alla fine, possono far sì che muoiano prima”.
La solitudine, quindi, può “fare male” in senso stretto, visto che studi sul cervello dimostrano che le aree cerebrali che si attivano durante il dolore fisico sono le stesse che si attivano quando si fa esperienza del “dolore sociale”. Addirittura, secondo la dott.ssa Luhmann, “Alcuni sostengono che la solitudine abbia
un effetto paragonabile a quello del fumo sulla longevità”.
Anche se questa condizione è normalmente più acuta in età
avanzata, Luhmann sostiene che ci possano essere dei “cicli” della solitudine
che colpiscono le persone in età abbastanza fisse: “Intorno ai 30 anni, il
livello di solitudine tende a essere elevato, e poi di nuovo a 50 anni”.
Alcune delle possibili cause di questi cicli riguardano i figli: le persone intorno ai trent’anni, per esempio, potrebbero avere il loro primo figlio a quest’età, e l’evento potrebbe renderli più soli perché avranno meno tempo per i loro amici. A loro volta, i cinquantenni potranno sentirsi soli perché i loro figli hanno lasciato il tetto familiare per seguire la propria indipendenza.
Queste rivelazioni sono accompagnate anche da dati
statistici non legati alle sensazioni personali ma alle situazioni abitative,
secondo cui la percentuale di persone che vivono da sole è stata in costante
aumento dagli anni Sessanta.
D’altro canto, come segnala la dott.ssa Luhmann in un’intervista
al sito Vox, essere soli non equivale
a sentirsi soli. La solitudine consiste infatti nel sentire di avere un numero
di connessioni sociali significative minore di quante ne potrebbe avere, e
chiaramente questo numero varia da persona a persona.
Le persone differiscono anche per quanto riguarda il
contatto sociale di cui hanno bisogno: per alcuni è di fondamentale importanza
avere un partner romantico, e si sentono soli se sono single, anche se hanno
molti amici; altri invece non si preoccupano molto delle relazioni romantiche e
essere single non gli crea particolari problemi.
Qui sotto, un grafico che mostra la curva della solitudine percepita a seconda dell’età, secondo lo studio dell’Università di Colonia: