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Caro Pd, perché sostieni ancora l’ingresso della Turchia in Europa?

Immagine di copertina
Credits: Pixabay

Il Pd condanna l'export di armi dall'Italia verso la Turchia ma non nega la possibilità di un ingresso del Paese nell'Unione Europea

Caro Pd, perché sostieni ancora l’ingresso della Turchia in Europa?

Il 15 ottobre il ministro degli Esteri Di Maio ha tenuto un’informativa alla Camera sulla questione della Turchia in Siria. Durante la discussione in aula successiva all’intervento del ministro, la deputata del Pd Laura Boldrini ha espresso una chiara condanna dell’offensiva turca in Siria. A differenza dei deputati di Fratelli d’Italia e Lega Nord, però, nessun rappresentante del Pd ha sostenuto la necessità di un’interruzione del processo di integrazione della Turchia all’interno dell’Unione europea.

Non solo, Pd e M5s hanno bocciato la risoluzione presentata il 15 ottobre alla Camera dalle forze politiche di destra, in cui si chiedeva espressamente al governo di negare l’ingresso di Ankara in Europa: “Di Maio, Pd e M5S hanno bocciato la nostra risoluzione e hanno ribadito la loro sottomissione al sultano Erdogan”, ha tuonato Giorgia Meloni.

Oggi si terrà la riunione del Consiglio europeo e sul tavolo ci sarà certamente anche la questione turca. Il Pd si è espresso con chiarezza solo sull’export di armi e l’intera maggioranza giallo-rossa ha atteso la risposta dell’Europa prima di decidersi a uno stop della vendita del materiale bellico. Il premier Conte il 16 ottobre al TG1 ha dichiarato che in Consiglio europeo sosterrà la necessità di “soluzioni diplomatiche”, ma non è ancora chiaro come intenda procedere.

Anche il senatore del Pd Alessandro Alfieri dopo le comunicazioni di Conte in vista del Consiglio europeo ha dichiarato che serve una risposta ferma nei confronti della Turchia, che però come ha affermato lui stesso resta pur sempre “un partner dell’Italia”.

I democratici non intendono chiudere le porte dell’Ue ad Ankara e certamente la bocciatura della risoluzione di Fratelli d’Italia su questo punto parla chiaro.

Il percorso di avvicinamento della Turchia all’Europa

I motivi di questa posizione potrebbero essere molti. La Turchia da decenni tenta l’avvicinamento all’Europa: è membro del Consiglio d’Europa, e nel 1963 è diventata “paese associato” alla Comunità Economica Europea e successivamente all’Unione Europea, con cui è in unione doganale dal 1996. Infine con il Consiglio Europeo di Helsinki del 1999 la Turchia è ufficialmente paese candidato a entrare nell’Unione europea e nel 2005 sono iniziati i negoziati per favorirne l’ingresso.

Tutto il denaro che l’Europa investe in Turchia

Questo avvicinamento è descrivibile anche in cifre: attraverso i miliardi di euro di finanziamenti che l’Ue fornisce alla Turchia. Dal 2010 la Banca europea per gli investimenti ha dato ai paesi candidati a entrare nell’Unione europea (Turchia, Montenegro, Albania, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Montenegro e Serbia) circa il 3,5% delle proprie risorse, per un ammontare di 21,9 miliardi di euro. A riferirlo è una relazione del Servizio studi del Senato del 2019.

Più nello specifico, solo nel 2019 la Banca Europea ha finanziato progetti in Turchia per il valore di 66 milioni. Mentre nel 2018 i finanziamenti sono stati pari a 385,7 milioni, di cui 235 solo per lo sviluppo del Tanap (Trans Anatolian Pipeline), il lungo gasdotto che attraversa tutta la Turchia partendo dal confine con la Georgia fino ad arrivare al confine greco. Un gasdotto che sta molto a cuore anche all’Italia perché fa parte di un progetto ben più grande, il cosiddetto “Southern gas corridor” (SGC), un lungo corridoio del gas che dall’Azerbaijan, raggiunge la Turchia e termina in Puglia con il più noto gasdotto del Tap. Un progetto che permetterebbe all’Italia di ricevere gas da un fornitore alternativo alla Russia.

A questa cifra vanno aggiunti i finanziamenti del “Piano di pre-accesso all’Europa” (IPA),  il pacchetto di misure finanziate dall’Ue per favorire l’avvicinamento della Turchia ai requisiti economici richiesti per l’accesso turco all’UE: dal 2014 al 2020 l’Unione europea ha stanziato 4,4 milioni di euro per progetti in tutti i settori dell’economia turca. Infine ci sono i sei miliardi che l’Ue ha concesso ad Ankara a partire dal marzo 2016, in cambio dell’impegno del presidente della Turchia Erdogan a fermare i migranti.

La questione Nato

Spezzare il filo che lega l’Europa e l’Occidente alla Turchia non è affatto facile, anche se Erdogan da oltre una settimana è impegnato in un’offensiva durissima in Siria contro i curdi, in cui sono già stati uccisi numerosi civili.

Non è facile nemmeno per le forze politiche che in Italia sono al governo: Pd e M5S. Come l’Italia, e come molti altri paesi dell’Ue, la Turchia fa parte della Nato. Vi è entrata nel 1952, diventando uno dei Paesi cardine dell’alleanza, con un esercito convenzionale secondo tra i paesi membri soltanto a quello degli USA. La linea dettata dalla Nato sulla questione turca rimane però ambigua.

Il segretario generale della Nato Jean Stoltenberg, l’11 ottobre ha incontrato il presidente Erdogan e il ministro degli Esteri Çavuşoğlu utilizzando toni che a molti analisti sono apparsi troppo morbidi nei confronti di Ankara. Stoltenberg ha infatti riconosciuto alla Turchia “legittime preoccupazioni di sicurezza” e si è limitato a chiedere di agire con “moderazione”.

Ha inoltre ricordato come la Nato abbia investito “oltre 5 miliardi di dollari nel sostegno militare alla Turchia, con tanto di infrastrutture, basi navali e radar che hanno confermato il forte impegno dell’Alleanza per la sicurezza del Paese”. In questo piano di investimenti è stata coinvolta anche l’Italia.

Forse sono questi i tanti fili che portano il Partito democratico a non voler negare un ingresso di Ankara nell’Ue e a mantenere una posizione di cautela nei confronti della possibilità di una sua espulsione dalla Nato.

L’ipocrisia del governo italiano: blocca l’export di armi verso la Turchia ma tiene in piedi la missione Nato “per difendere Ankara dagli attacchi siriani”
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