Patrick Zaki non può lasciare l’Egitto prima della fine del processo. È in una lista nera
Patrick Zaki non potrà tornare in Italia prima della fine del processo e di un’assoluzione. Fonti egiziane hanno, infatti, detto all’Ansa che il ragazzo è su una lista nera in Egitto che gli impedisce di andare all’estero: “Non potrà andarsene fino a dopo la fine del processo” hanno detto le fonti che hanno chiesto di mantenere l’anonimato, aggiungendo che non sanno se il ricercatore abbia o meno il passaporto: “Ma non importa, perché gli è vietato viaggiare”.
In un’intervista a “Che tempo che fa”, domenica 12 dicembre, Zaki aveva detto che, a quanto sapeva, non aveva il divieto di viaggiare: “Credo che io lo debba chiedere ai miei legali prima di poter venire, poiché l’udienza non è stata ancora tenuta non riesco per il momento a lasciare il Paese, ma quello che so di sicuro è che per il momento non ho nessun divieto di viaggiare – ha spiegato nel corso dell’intervista di Fabio Fazio – credo di poter venire in Italia al più presto, magari domani a Bologna, che è un sogno se ci potessi arrivare, però spero di farcela”.
Il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury, non è meravigliato: “Patrick è imputato in un processo di fronte a un tribunale di emergenza. C’è da sperare che quel “presto” che ha auspicato, e che noi auspichiamo con lui, arrivi veramente presto, dopo l’udienza del primo febbraio. Nel frattempo, occorrono ancora pazienza e speranza”.
La prossima udienza è fissata per il primo febbraio. In quell’occasione la difesa dovrebbe presentare una già preannunciata memoria difensiva. Hoda Nasrallah, legale di Zaki, ha chiesto l’acquisizione di riprese di telecamere di sorveglianza dell’aeroporto del Cairo, di un rapporto dei servizi segreti interni e di un verbale di polizia. Questo dovrebbe dimostrare che tra il 7 e l’8 febbraio di due anni fa Zaki fu arrestato illegalmente. Chiesti, inoltre, anche gli atti di un vecchio processo e la convocazione di un testimone per dimostrare che l’articolo scritto dal ricercatore nel 2019 non diffondeva falsità. Lo studente egiziano è, infatti, imputato per “diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese”. Rischia ancora altri cinque anni di prigione oltre ai 22 mesi già trascorsi in custodia cautelare in carcere.