A Gaza non c’è nessuno “scontro”, ma una guerra tra chi è armato e chi non lo è
A Gaza in questi giorni va in scena l'ennesima guerra delle forze israeliane contro i palestinesi. I media tradizionali però parlano di "scontri". Ma parole come questa cancellano l'idea che la Marcia del Ritorno sia pacifica e i manifestanti disarmati, facendo invece credere che vi sia in atto un confronto diretto tra le due parti
A Gaza vanno avanti ormai da oltre una settimana le manifestazioni dei palestinesi per reclamare il diritto a ritornare nelle proprie terre, così come sancito dalla risoluzione 194 delle Nazioni Unite del 1948 e osteggiato dal governo di Israele da 70 anni. La Grande Marcia del Ritorno è nata dall’idea dei palestinesi di ricordare al mondo le condizioni di profughi in cui sono ancora costretti a vivere ogni giorno e la costante violazione dei loro diritti.
La manifestazione è iniziata il 30 marzo e terminerà il 15 maggio, anniversario della “al-Nakba” o catastrofe, il giorno in cui fu fondato lo Stato di Israele. La Marcia è stata pensata per essere assolutamente pacifica. Non sono permesse armi, slogan politici né bandiere diverse da quelle della Palestina. Anche Hamas, l’organizzazione politica islamica che governa dal 2006 la striscia di Gaza, ha più volte dichiarato che l’intento della Marcia è e resterà pacifico.
Tuttavia, dall’inizio della manifestazione i morti tra i palestinesi sono già arrivati a 27 e il numero di feriti è salito a oltre 1.300 persone. Il governo israeliano ha schierato fin dal primo giorno 100 cecchini lungo le linee che separano Gaza da Israele, e ha dichiarato di essere pronto a rispondere alle “violenti proteste di Hamas”.
Al di là dei numeri di morti e feriti, vale la pena soffermarsi sul modo in cui la Marcia del ritorno è stata raccontata dai media tradizionali e sul peso delle parole utilizzate.
Parole come ‘scontri’, ‘battaglia’ o ‘guerriglia’ non forniscono una precisa chiave di lettura degli eventi. Descrivere la manifestazione di migliaia di palestinesi lungo il confine con Israele come uno “scontro” cancella l’idea che la Marcia del Ritorno sia pacifica e i manifestanti disarmati, facendo invece credere che vi sia in atto un confronto diretto tra le due parti. Da qui, i morti e i feriti.
Leggendo attentamente le notizie, risulta invece evidente che ad essere armato era l’esercito israeliano e che lo ‘scontro’ altro non erano che le operazioni militari israeliane contro i manifestanti palestinesi, disarmati.
Tutto ciò in violazione delle convenzioni internazionali, tanto che il segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres ha chiesto l’apertura di un’indagine su quanto accaduto in questi giorni a Gaza.
Fare attenzione alle parole con cui si riporta ciò che sta avvenendo nella Striscia non è un semplice esercizio stilistico per i giornalisti. Prima di tutto vuol dire fornire un’informazione che sia il più accurata possibile. In secondo luogo, in una situazione tanto delicata come quella del conflitto israelo-palestinese, è importante mantenere un punto di vista che sia il più possibile neutrale.
Parole come ‘scontri’ e ‘battaglia’ sono carichi di significato e continuano a perpetrare una narrazione che presenta gli israeliani come un popolo continuamente minacciato e i palestinesi come terroristi.
Una distinzione così netta delle parti in campo non è veritiera. La Marcia del Ritorno è la prova che i palestinesi sono in grado di manifestare pacificamente per affermare i propri diritti, proprio come la campagna dell’associazione israeliana per la difesa dei diritti, B’Tselem, dimostra che in Israele non tutti sono a favore dell’occupazione di Gaza.
Una narrazione che invece continua a distinguere tra buoni e cattivi giova al governo di Israele e contribuisce a far apparire impossibile una soluzione definitiva del conflitto che da 70 anni affligge il Medio oriente.
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