Palestina: Ahed Tamimi, la ragazza che aveva schiaffeggiato un soldato israeliano, patteggia 8 mesi di carcere
Il video della 17enne Ahed Tamimi era diventato virale: la giovane è diventata un simbolo della protesta contro Israele
Ahed Tamimi, la 17enne palestinese che nel dicembre 2007 era stata arrestata per aver schiaffeggiato un soldato israeliano, ha patteggiato una pena di otto mesi di carcere.
La ragazza ha accettato di dichiararsi colpevole per quattro dei dodici capi di imputazione a suo carico, tra cui aggressione.
Dovrà anche pagare una multa di 5mila shekel, pari a circa 1.200 euro. La pena carceraria è stata invece sospesa.
Secondo quanto riferito dai media israeliani il 22 marzo 2018, la corte militare israeliana di Ofer, in Cisgiordania, ha approvato il patteggiamento.
Ahed Tamimi ha trascorso finora quattro mesi in detenzione amministrativa.
Tamimi era diventata un simbolo della protesta palestinese contro l’occupazione di Israele.
La ragazza era stata arrestata nel dicembre 2017 dalle autorità israeliane dopo che un video che la ritraeva mentre schiaffeggia un soldato israeliano era divenuto virale.
I fatti risalgono al 14 dicembre 2007, quando Mohamed Tamimi, 14 anni, cugino di Ahed, venne colpito da uno proiettile di gomma sparato a distanza ravvicinata da un soldato israeliano rimanendo ferito alla mascella, riuscendo tuttavia a sopravvivere.
Secondo la difesa di Tamimi, il filmato mostrava la reazione della ragazza dopo essere venuta a conoscenza del fatto.
Per diversi israeliani, invece, la giovane è una “facinorosa in cerca di guai”.
La corte aveva definito l’adolescente un soggetto “pericoloso”, accusato di un “reato ideologico”.
L’ong Amnesty International, dopo l’arresto di Ahed Tamimi, ha lanciato una petizione internazionale per il suo rilascio, firmata da oltre 1,7 milioni di persone.
L’ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani e l’Unione europea avevano espresso preoccupazione negli scorsi mesi per il caso Tamimi. La Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia stabilisce infatti che l’incarcerazione di un minore deve essere una misura di “ultima istanza” e deve avere una durata “più breve possibile”.